Gli evasori sono i politici: oltre 235 milioni di euro di tasse non pagate

di Salvatore Graziano


dal sito del Movimento Libertario


Molti imprenditori e professionisti italiani, anche medio-piccoli, strozzati dalla morsa fiscale, hanno deciso, recentemente, di approdare al mondo dell’offshore attraverso strutture di Paesi considerati “Paradisi Fiscali” che offrono società anonime e conti bancari offshore, attraverso i quali é possibile operare pagando meno tasse o zero tasse, proteggendo il proprio capitale attraverso l’anonimato.
Questa scelta ha permesso a molti Imprenditori di non cadere nel baratro della grande crisi finanziaria attuale, cogliendo invece le possibilità offerte dal mercato globalizzato. Ma perché si cerca di combattere questo fenomeno, quando la maggior parte delle società quotate in borsa e dei gruppi bancari hanno partecipazioni, quasi sempre di controllo in società residenti nei Paradisi Fiscali? Il 29 gennaio si terrá a Lugano un convegno "I Paradisi Fiscali nel 2011" il cui relatore sarà il dottor Giovanni Caporaso, considerato il Guru italiano dell'offshore.
Salvatore Graziano lo ha intervistato.
 
D. Cosa dice il borsino dei paradisi offshore? Quali sono i paradisi fiscali che tirano sempre e quelli caduti in disgrazia? Quali i più sicuri e magari insospettabili in Europa e nel mondo.
R. Difficile fare una classifica perché non tutti i paradisi fiscali offrono gli stessi vantaggi. Direi che Panama si attesta ancora al primo posto, seguita dalle Seychelles e Belize per quanto riguarda le società; per la banca offshore la Svizzera si mantiene ancora al primo posto, nonostante gli scandali, Andorra e Monte Carlo sono le altre piazze finanziarie preferite dagli europei, oltreoceano Belize, in calo Panama che richiede molti documenti e fa molti controlli.
 
D. Che idea ti sei fatto del caso di Santa Lucia e della casa del cognato di Gianfranco Fini? Si potrà mai dire con certezza se questa casa appartiene realmente a Tulliani? E non è un clamoroso autogol delle autorità di questa isoletta caraibica il fare comunicati stampa e conferenza stampa sull’argomento, svelando gli effettivi proprietari?
R. Santa Lucia viene considerata da noi esperti un “paese delle banane” e sono pochissimi ad usarla, anche perché tecnicamente non è un paradiso fiscale, visto che applica una tassazione dell’1%. È un piccolo paese dove non esiste la certezza dell’applicazione delle leggi, ad esempio è un controsenso che il Ministro della Giustizia sia anche il Procuratore Generale e certo non da garanzie. Il paese non ha una struttura economica stabile e non è considerata una piazza finanziaria. I consulenti che l’hanno utilizzata probabilmente lo hanno fatto per non dare nell’occhio e forse non immaginavano che potesse scoppiargli nelle mani una bomba simile. Nella mia opinione non esiste modo di sapere con certezza chi sia il beneficiario delle società perché molto probabilmente sono state ordinate dai consulenti senza dare all’avvocato locale il nome del beneficiario finale. Questo è molto comune nel campo offshore e quando si tratta di cose di questo tipo, prima di tutto è difficile che venga autorizzata la rogatoria e anche se lo fosse verrebbe fornito il nome di un testa di legno. Quando non si tratta di un reato internazionale gli avvocati non sono tenuti a dare informazioni e in un caso di questo tipo, se succedesse a me, coprirei il cliente con la certezza di non avere molti guai. Chiaramente in un piccolo paese, dove come abbiamo detto il Ministro della Giustizia è anche il Procuratore Generale le pressioni verso l’avvocato locale possono essere molto forti, ma ripeto, dubito che lui conosca il beneficiario finale. Per quanto riguarda l’autogol, che dire? A Santa Lucia non hanno nemmeno la rete!
 
D. Dopo lo scudo fiscale il livello di lotta sul piano mediatico e non solo è innegabilmente aumentato nei confronti dei presunti paradisi fiscali e bancari. E alcuni paesi che avevano fondato buona parte dell’economia su questa “specialità della casa” sembrano in forte difficoltà. Si pensi al caso di San Marino. E siamo arrivati al punto che molti imprenditori italiani preferisco non ricevere alcuna fattura nemmeno dai fornitori regolari pur di non incappare in controlli incrociati. E’ la fine di un’epoca o solo di alcuni paradisi?
R. Probabilmente è la fine di un modo di fare affari. Se stringono da una parte bisognerà cambiare le strategie di lavoro. Il 60% dei capitali mondiali transitano dai paradisi fiscali: vari paesi e milioni di multinazionali pagherebbero la crisi. Dai tempi di De Gaulle continuiamo ad ascoltare che i paradisi fiscali sono finiti. I paradisi fiscali sono da sempre una croce ed una delizia dell’economia mondiale; secondo alcuni sono il lato oscuro della finanza internazionale, ma una necessità del sistema economico. Sono infatti utilizzati oltre che da migliaia di contribuenti, principalmente, dalle grandi imprese, spesso anche quelle a partecipazione statale o controllate dagli Stati. Nell’Unione Europea si stima che la frode fiscale tocca una media del 2.5 % del Pil. In fondo fino a oggi, i paradisi fiscali sono stati dei pilastri essenziali della globalizzazione economica, con un’incidenza considerevole nel sistema finanziario. Tenendo conto del ruolo fondamentale di questi paesi nel meccanismo della globalizzazione, l’eliminazione provocherebbe delle grandi disfunzioni economiche e finanziarie. I capitali cercheranno sempre le piazze più redditizie e i sistemi tributari più favorevoli. Questa è la logica del capitalismo e la globalizzazione la favorisce. Questa battaglia contro i paradisi fiscali è appena iniziata e probabilmente otterrà uno dei risultati voluti: l’aumento dei costi dei servizi offshore e la riduzione all’accessibilità degli stessi. In pratica chi paga è sempre il piccolo. Quelli che hanno rubato per decenni e ridotto sul lastrico il sistema finanziario internazionale vogliono che i cittadini abbiano solo il diritto di lavorare e pagare le tasse. Pagare per sanare gli errori degli altri. È la logica del più forte, è un mondo controllato e pieno di cittadini robot, come in quei film futuristi che presentavano una società manipolata da un’entità al di sopra delle leggi e degli individui. Questo sarà il tema di una conferenza che darò a Lugano a fine gennaio “I paradisi fiscali nel 2011” (www.iparadisfiscalinel2011.com).
 
D. I vostri siti sono fra i più noti e conosciuti da parte di chi guarda al mondo offshore. Un covo di evasori fiscali e furbetti o cos’altro? Non vi sentite anche dei fiancheggiatori dei riciclatori?
R. I nostri servizi sono offerti ad imprenditori globalizzati che sfruttano alcune giurisdizioni per essere più competitivi e sfuggire ad una morsa fiscale ingiusta. “Se pagassimo tutti le tasse, se ne pagherebbero meno”, questo è il tenore della campagna di contro-informazione dell’ufficio delle Entrate italiane. La realtà è ben differente: “Se pagassimo tutti le tasse, il governo spenderebbe di più”, aumenterebbe come già sta aumentando il buco del bilancio pubblico che “regala”a tutti gli italiani, anche i neonati, 30 mila euro di debiti. Perché mai pagheremmo meno tasse? Gli sperperi continuerebbero, anzi aumenterebbero. Un esempio: aumentano ancora le auto blu in Italia: hanno raggiunto il tetto record di 626.760 unità. Conteggiando sia quelle di proprietà dello Stato che quelle in leasing, in noleggio operativo e noleggio lungo termine, presso lo Stato, Regioni, Province, Comuni, Municipalità, Asl, Comunità montane, Enti pubblici, Enti pubblici non economici, Società miste pubblico-private e Società per azioni a totale partecipazione pubblica, il numero è proprio questo. Addirittura secondo il Governo, in Italia abbiamo tante auto blu che non sappiamo neanche il loro numero preciso: il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha firmato recentemente una direttiva per avviare un monitoraggio e capire, finalmente, quante ne abbiamo. Mala spesa? Mal governo? Ma perché mai gli italiani dovrebbero pagare le tasse? Per quanto riguarda il riciclaggio, non passa quasi mai dai paradisi fiscali, la criminalità ha una specie di economia propria basata sulla compensazione: mi mandi cocaina dal Perù e ti invio eroina dalla Tailandia; cocaina dalla Colombia in cambio di armi dall’est Europa e cosi via. Anche per i soldi hanno i loro canali, vere e proprie banche senza licenza.
 
D. Il fenomeno del ricorso alle società offshore come sappiamo è molto esteso. E riguarda un numero impressionante di società quotate e multinazionali. Ma perché in questi casi non fanno molto scandalo e vengono considerati esempi di “pianificazione finanziaria”. Due pesi, due misure?
R. Certo, le stesse banche italiane se non avessero sedi o controllate nei paradisi fiscali soccomberebbero al mercato.
 
D. Un paese considerato sicuro e inaccessibile sotto il punto di vista del segreto bancario come la Svizzera ha iniziato negli ultimi anni a mostrare sempre più buchi alla propria impenetrabilità. E di fatto le autorità americane sembrano essere riuscite oramai a ottenere una collaborazione sempre più ampia sotto la minaccia delle ritorsioni. La Svizzera non è più quella di una volta e quali altri paradisi bancari stanno prendendone il posto
R. Io direi che la Svizzera si sta adeguando con leggi di facciata. Non aprono conti a cittadini americani e questi prendono una seconda nazionalità per ottenere un passaporto a solo uso bancario. Altrimenti si usano fiduciari. Fatta la legge, fatto l’inganno.
 
D. Non è po’ una contraddizione che se da una parte gli Stati Uniti fanno la guerra ai paradisi offshore dall’altra proprio uno stato americano, il Delaware, viene considerato come fra i migliori al mondo per chi ricerca segretezza e fisco leggero?
R. Come ho ripetuto: i paradisi fiscali fanno parte del sistema economico attuale. Gli americani non vogliono fughe di capitali quindi lasciano aperta la porta sul retro. Oltre al Delaware ci sono parecchi altri stati con legislazioni uguali.
 
D. Chi sono il tipo di italiani che usano le sue società e cosa vogliono quando si rivolgono a lei?
R. In maggioranza sono giovani che non hanno i capitali per iniziare una attività secondo il sistema societario italiano. Altri sono strozzati dalla morsa del fisco e solo cercano una via d’ uscita. In genere sono imprenditori che hanno capito che se non rende investire in Italia, in un mondo globalizzato, ci sono altre alternative. A Panama ad esempio l’Iva è del 7% e pochi cercano di evaderla, a Cipro la tassazione è del 10% e non conviene ingegnarsi per non pagare le tasse.
 
D. L'Italia è un paradiso fiscale? E per chi? Solo per gli evasori?
R. No. Anche l’Italia ha i suoi Paradisi Fiscali che sono le regioni a Statuto Speciale, Friuli - Venezia -Giulia, Trentino - Alto Adige, Valle d'Aosta, Sicilia e Sardegna che hanno, a seconda della regione, libri per le scuole dell'obbligo gratis, regime fiscale migliore, bolli auto più bassi, stipendi statali più alti, benzina a prezzo migliore, trasporti a prezzi agevolati, ecc. Ogni Stato favorisce nel modo più consono le aree considerate meno sviluppate. Recentemente diversi comuni confinanti con regioni a Statuto Speciale hanno fatto richiesta di essere annessi, “scappando” dalla loro attuale locazione. Ovviamente, le motivazioni sono di carattere prettamente economico: i consistenti, consistentissimi, sgravi fiscali e contributivi dei quali ancora oggi quelle regioni godono. Addirittura il Piemonte si dice intenzionato a richiedere per se stesso l’attribuzione dello Statuto Speciale. Anche questi comuni fanno parte della cinica Italia degli evasori? O si tratta di autodifesa? “Evadere non è peccato. L'evasione fiscale non solo non è rubare, in Italia potrebbe addirittura essere l'inverso: un'autodifesa per non essere derubati". Così la pensava Don Baget Bozzo e anche questo pensiero fa parte della sua eredità. Ed i primi ad evadere sono proprio i politici italiani, ovviamente, loro, lo fanno alla luce del sole, legalmente. E mentre il Governo difende gli studi di settore per imprese ed autonomi, i politici hanno entrate esentasse ma non si ritengono fuori linea. In Italia ci sono oltre quattrocentomila politici tra eletti, addetti e consulenti e almeno centocinquantamila auto blu per un costo vicino ai 5 miliardi di Euro. Se fosse stato fatto uno “studio di settore” ci si sarebbe resi conto che le tasse non pagate dai politici sommano oltre 235 milioni di euro. Una bella somma per uno stato indebitato e per il cittadino tartassato. Prendiamo in considerazione gli stipendi dei parlamentari, consiglieri comunali, regionali e provinciali, ovvero dei politici di professione. All'erario mancano 225 milioni di euro che corrisponde a voci “esenti tasse” come le diarie e i rimborsi spese che sommano circa il 40% della “busta paga” e dalla tassazione a basso scaglione. Ma per loro é tutto legale. Neanche si tratta di elusione, é un vero e proprio furto ai danni della comunità. Chi ha un'azienda o fa una professione libera non paga le tasse a sufficienza, però chi legifera e stabilisce quanto devono pagare gli altri, evade alla luce del sole.
 
D.Vuoi dirmi qualcosa su Antarcticland; come è nata l'idea? Non è un po' troppo...
R. È’ nata da due fattori principali: il primo che un antenato di mia madre, Fabian Gottlieb ha scoperto questo territorio; il secondo è che mi sembrava una ottima provocazione e una sfida legale non indifferente. Cosi nel 2007, attraverso un atto di richiesta di riconoscimento e di rivendicazione ufficiale del territorio, notificato alle Nazioni Unite attraverso la Corte Suprema di New York ho reclamato ciò che mi è stato affidato in eredità . La notifica è stata effettuata in base alla “jus gentium” ed al diritto di autodeterminazione dei popoli riconosciuto dalla Carta Magna delle Nazione Unite e da altri strumenti regionali e internazionali. Bollato dai mass media come paradiso fiscale, lo Stato libero di Antarcticland ha stupito e continua a stupire perché in realtà si sta proponendo come un modello di Stato ideale in ambito culturale, economico, sportivo, e perché no, anche a livello di tassazione. Non so se per protesta o se perché realmente la proposta di Antarcticland stia prendendo piede, ma il numero di cittadini, considerato dalle Nazioni Unite puramente virtuali, ha superato ormai la soglia di un milione e trecentomila, tra cui molti intellettuali e sportivi di fama mondiale. Dai nostri siti, www.antarcticland.it è quello in italiano, continuano a piovere richieste di cittadinanza, che, sottolineo, è gratuita. Cosi, sembra proprio che questo Stato considerato agli inizi puramente virtuale si stia conquistando degli importanti spazi fisici a livello internazionale.

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