Il pensiero funzionalista occupa una posizione di prima rilevanza tra le teorie moderne della sociologia; qui si vuole però sincronizzare l’accezione sociologica con quella politica.
La società è costituita da un insieme di soggetti, fatti e cose in connessione tra essi e non è possibile immaginare qualcosa che sia fuori da ogni contesto come a sé stante.
La vita sociale, politica, culturale, formativa, economica e globale mette ogni soggetto, fatto e cosa in relazione ovvero in un rapporto di funzionalità reciproca che può evidentemente essere orientato in modi diversi secondo diverse finalità e concezioni dell’utilità.
L’abitudine, comoda ma scellerata, di considerare il presente come un fotogramma scollegato dal passato e dal suo contesto, non ha prodotto alcun aspetto positivo.
Oggi, nel prendere atto che ogni cosa sia funzionale a un’altra, occorre interrogarsi su come impostare l’evoluzione di tale rapporto per mettersi sulla via di un migliore futuro, si potrebbe dire che l’essere umano debba puntare a un’evoluzione della funzionalità tale da ottenere un miglior funzionamento.
Diversamente dal funzionalismo sociologico che teorizza le scoperte del funzionalismo come caratteri fissi della società tali da essere paragonati alla scienza biologica, il funzionalismo sociopolitico deve necessariamente comprendere un concetto di dinamicità che abbia lo scopo di aiutare a individuare gli elementi del funzionalismo che concorrono appunto a ottenere un miglior funzionamento.
E’ inevitabile che tale dinamicità sia complementare al concetto di tempo.
Nell’accezione sociopolitica, è evidente che il macrofunzionalismo di Talcott Parsons, di Robert Merton e di Marion Levi si riappacifichi col microfunzionalismo di Kurt Lewin, insomma, il funzionalismo sociopolitico comprende il funzionalismo individuale.
In fondo, se ci pensiamo bene, un tale senso di funzionalismo dinamico comprende tutte le esperienze e rende chiaro che anche in campo sociopolitico sia possibile utilizzare proprio l’esperienza per definire progetti migliorativi.
Non è azzardato affermare che anche nel pensiero profondo di Georg Friedhrich Hegel si pongano elementi di funzionalismo dinamico nel capitolo della tesi, antitesi e sintesi.
La politica, come tutte le cose, è inevitabilmente assoggettata ai precetti della modernità; una volta, nelle molte occasioni in cui non era gradita, poteva essere disapprovata e magari “indotta alla ragione” dalla società civile, cioè dalla gente, che sapeva riunirsi e compattarsi anche alla sola insegna di semplici moti dell’animo … oggi però non è più così.
Capita spesso che la gestione della cosa pubblica non soddisfi le attese della gente e non è raro che questa venga perfino esasperata, ma i soli moti dell’animo, anche se gravi, oggi non sono più sufficienti a costruire validi argini per opporsi a una politica irrispettosa della società.
Ogni moto dell’animo è pur sempre una scintilla, ma se non vi sono altri elementi che lo accompagnano, difficilmente può svilupparsi in qualcosa di funzionale e concreto.
Nella sostanza, la modernità mette ogni cosa in relazione con l’altra e non dà ragione ad alcun progetto particolare che non sappia evolversi considerando la visione generale dell’insieme.
Nel tema specifico del malcontento generato dalla politica, non può essere realizzata alcuna utile rivalsa popolare se alla citata scintilla non si affianca un progetto in grado di meritare consensi, attenzioni, strumenti, strutture organizzate anche in senso territoriale e mezzi finanziari.
A fronte di problemi sacrosanti, al Popolo sono state chieste anche mobilitazioni poco utili, ora, grazie anche all’eccesso di sedicenti "leader", la gente è sfiduciata e spesso stanca di partecipare.
Possiamo chiedere che gli "inventori di proclami" si facciano un po' carico di questa responsabilità?
Noi siamo un Popolo in qualche modo sotto pressione e non possiamo liberarci seguendo i nevrotici concetti del "concreto e subito".
Chi si crede di essere concreto chiedendo mobilitazione intorno all'utopia, procura gravi ritardi alla società.
Per affrancarsi dal disagio generato da una politica istituzionale poco accorta, occorre conoscenza, capacità d'attesa, umiltà e anche un pizzico di cinismo … del resto, della scintilla abbiamo già parlato.
Il termine “funzionale” indica per sua natura un concetto di dinamismo e correlazione, insomma, ogni cosa è funzionale a qualcos’altro.
In ogni campo delle attività umane si progettano prodotti e iniziative che sono funzionali al raggiungimento di obiettivi precisi.
La cultura del funzionalismo può trovare felice applicazione anche in campo sociopolitico, affermandosi attraverso lo studio e la ricerca di elementi funzionali al bene della collettività.
Il funzionalismo, ancora una volta per sua natura, determina a priori i particolari degli obiettivi che intende conseguire, dunque, rende automatica la possibilità di testarli e verificarli perfino in corso d’opera.
L’applicazione del funzionalismo può creare un maggiore rapporto di fiducia tra il Popolo e la politica, rendendo l’uno più responsabile circa il concetto d’uso della libertà di parola e l’altra meno ingannevole.
La cultura funzionalista può costituire una sorta di preludio o primo passo della nostra corsa verso quel livello di maturazione sociale e adeguatezza tecnologica che intanto ci separa dalla possibilità di applicare immediatamente un più avanzato sistema di democrazia diretta.
Insomma, la realtà perde univocità ed è sostituita dalla rappresentazione di se stessa che, per ovvi motivi, diviene soggettiva non solo nella costruzione del racconto, ma anche nella conseguente interpretazione di ciascun destinatario al quale è raccontata.
Fieri e convinti tutti d’avere ottenuto la libertà di pensiero e di parola, noi siamo facilmente coinvolti dalla rappresentazione di realtà emotive se non manipolate. In tale regime, può accadere che il nostro pensiero e la nostra parola, anche se con onestà, si liberino su stimoli non oggettivi e talvolta completamente falsi.
E’ inconfutabile che la modernità ci cali in una società assai complessa che non potrà essere capita da quanti gireranno lo sguardo altrove, nell’illusione di vivere un approccio semplice e poco faticoso.
In tale quadro, dobbiamo fare nostra la consapevolezza che quasi mai è dato di essere diretti osservatori di un fatto e che più verosimilmente si è raggiunti dalla rappresentazione dello stesso. Questo è un motivo sufficiente per non volere che la nostra libertà di pensiero e di parola sia una sorta di risposta automatica alla realtà che ci viene in qualche modo rappresentata.
Certo è che la novità di non potere più considerare la realtà come reale, porta incertezza sui nostri consueti riferimenti psicologici e culturali ed espone al rischio di smarrirsi in una confusione che porta nervosismo in molti soggetti della società.
Teniamo però ben presente che pur non potendo essere testimoni diretti dei fatti, noi possiamo invece essere testimoni delle loro conseguenze.
Sarebbe dunque bene imparare a trattenere il pensiero e la parola quando sollecitati dalla spinta emotiva del racconto e liberali, invece, quali reazione alle conseguenze oggettive che la realtà, comunque raccontata, genera.
La questione, che sembrerebbe semplice, suggerisce di porsi con prudenza davanti alle sollecitazioni emotive delle realtà rappresentate e di liberare la parola, il pensiero e l’azione mentre le conseguenze di ogni fatto ci raggiungono direttamente.
Sembrerebbe semplice, ma non lo è.
Nella rappresentazione della realtà concorrono tecnologie sempre più sofisticate e tali da poter rendere il racconto ammaliante e ipnotico; del resto, se noi guardiamo un video, crediamo a tutti gli effetti di quel video anche quando si tratta di effetti di “regia”. Inoltre, in base al senso di confusione che abbiamo già accennato, la società è sempre più nervosa e sceglie di credere al racconto pur di crearsi subito un punto di riferimento.
In questa condizione, pur convinti di essere liberi, noi non siamo liberi per nulla.
La libertà è, per sua antonomasia, libertà dal condizionamento, ma la realtà rappresentata tende invece a condizionare tutti.
In questo modo, la rappresentazione dei fatti cambia la base della nozione di libertà che pertanto rischia di assopirsi sulla sua stessa rappresentazione.
Non sono libero perché sono libero, ma sono libero perché parlo, penso e agisco “liberamente” guidato da una realtà condizionata.
Abbiamo visto come la realtà ceda il passo alla rappresentazione di se stessa, ma non illudiamoci che questo sia l’unico fenomeno di cui prendere atto.
La libertà è un altro concetto pericolosamente caratterizzato dalle incredibili metamorfosi della modernità.
Intorno a noi cambia tutta la vita e non solo alcuni capitoli di essa, dunque occorre sbrigarci a capire che non è possibile che cambi tutto il mondo, tranne il nostro modo di pensare.
Anche in questo caso la modernità ci cala in una società complessa e ci pone davanti a un bivio terrificante.
Da una parte ci sono i sacrifici che possiamo percorrere per essere protagonisti consapevoli e liberi nella complessità che ci circonda, mentre dall’altra possiamo scegliere - diciamo così - di non “affaticarci” per avere un’idea più profonda delle cose; in questo caso, però, saremo comunque schiavi della complessità che non potremo mai semplificare attraverso l’ignoranza … non a caso si assiste oggi ad una sorta di analfabetismo culturale che piuttosto che percorrere il sacrificio della conoscenza, pretende di dichiarare inutile la cultura … in un certo senso è come se proponesse di affidare a un sedicente stregone, un’operazione in chirurgia che ci riguarda.
Una volta il concetto di libertà era rivolto soprattutto al capitolo della libertà fisica, oggi quel concetto include una serie di capitoli, Già considerando le libertà di parola e di opinione, è lapalissiano a che tali libertà non possano essere effettivamente esercitate attraverso l’ignoranza.
Anche il concetto di libertà subisce, insomma, le metamorfosi della modernità e non trattandosi più di sola libertà fisica è facile capire come una stagione poco etica del potere non possa più occuparsi solo di sopraffare la libertà, ma deve soprattutto contraffarla. La libertà sopraffatta è una limitazione semplice fin qui ben avvertita tanto dal regno umano quanto da quello animale, ma la libertà contraffatta e assai più subdola e tende a creare esseri umani rovinosamente prigionieri pur nella convinzione di essere liberi.
La storia umana si è costruita nella lotta contro la sopraffazione della libertà, ma con la contraffazione di essa, il tema è oggi assai più subdolo e pertanto occorre prepararsi a un tipo di lotta diversa dal passato.
La metafora racconta che lo sportivo ha allenato i muscoli per battere un avversario, ma che ha dovuto allenare anche la mente quando l’avversario è stato un baro.
La nostra società si trova davanti ad un moderno attacco alla libertà e deve reagire promuovendo una meditazione profonda che porti a una strategia nuova, sapendo bene che in tale impegno ogni superficialità è dannosa.
I manifesti politici quali aneliti di riscatto, sono sempre stati generati da malcontenti e crisi della società … noi oggi siamo scontenti e la nostra società è agli albori di una crisi politica e sociale disastrosa.
La storia è costellata di manifesti politici e in buona parte si è evoluta in base ad essi. I manifesti sono dunque una sorta di carta dei connotati di fatti culturali, sociali e politici di cui gruppi più o meno consistenti di esseri umani, si fanno inventori, sostenitori, finanziatori e proseliti.
Essi sottendono l’analisi, la critica, la comunicazione e la proposta, sono per loro natura espressione di libertà supportata dal desiderio di reazione e di cambiamento.
I manifesti costituiscono una forte base del processo evolutivo umano, ma perché nascono?
Non c’è dubbio che nascano come atto di accusa e sfogo della società contro situazioni inique e contingenti della vita, causate dall’oppressione del potere politico e dunque dai più svariati protagonisti che opprimono le quotidiane condizioni di libertà e serenità.
Invasori, vincitori, usurpatori, despoti, tiranni e quant’altro, hanno oppresso interi popoli in base alle prepotenze di regimi di potere fin qui identificati come totalitarismi ovvero regimi riferiti a un dittatore del quale si è immaginato di potersi liberare attraverso la ragione della democrazia.
Eppure, quella democrazia nata da una stagione di cultura politica così antica, si denuncia oggi illusoria e falsa e denuncia al mondo l’esistenza di mentalità politiche del potere che non si sono mai affrancate dalla ignominiosa tendenza ad opprimere il Popolo per soddisfare tornaconti personali.
Noi abbiamo fin qui pensato che la modernità avesse fornito l’alternativa democratica quale forma di gestione del potere, ma prendiamo invece doloroso atto che anche il concetto di dittatura ha subito la metamorfosi della modernità e invece di un passaggio dalla dittatura alla democrazia, stiamo assistendo ad una metamorfosi della gestione del potere che introduce il concetto di dittatura moderna. Il nostro Manifesto si occuperà di questo, ma sia immediatamente chiaro che quella che abbiamo chiamato dittatura moderna è un ignominioso delirio del potere.
l’Italia di oggi è un terreno fertile per la nascita di manifesti politici?
Sicuramente sì.
Nel nostro Paese gli esordi del terzo millennio si affermano come il momento più basso e volgare della storia della politica.
Puntando in origine al bene comune, la politica si articolava in partiti che rivendicavano il proprio ruolo in base alla cultura e al senso della vita sociale che li differenziava.
Oggi essi non puntano più al bene della collettività e si differenziano solo nel momento enunciativo dei loro principi che si dimostrano sempre falsi. Nella pratica, essi sviluppano sensi di venalità e avidità così forti da non riuscire più a tenere in considerazione nessun dettame umano, etico e sociale.
In base a così precisi dati di fatto, è facile evincere che la società non sia più un insieme di esseri umani da salvaguardare, ma una sorta di spugna da spremere per tirare fuori i costi dei vizi e degli errori dell’ordinamento pubblico nel suo insieme.
La vita di ogni partito, dunque, si distingue nei due diversi momenti dell’enunciazione e del comportamento pratico.
Nell’enunciazione i partiti rivendicano i fondamentali delle loro differenti culture originarie e, tutti indistintamente, propongono forti richiami ai valori umani, etici e sociali.
Nella pratica, gozzovigliano nella più bassa immoralità rinnegando i richiami dei loro momenti di enunciazione, le loro origini e la loro storia, nonché macchiandosi di infamia e corruzione.
Con queste premesse, è facile capire come cerchino di garantirsi la permanenza al potere con ogni mezzo e senza alcun scrupolo per i gravissimi disagi che procurano alla società.
I partiti politici nascono per sancito costituzionale e pertanto, qualunque sia stata la loro metamorfosi e qualsiasi nefandezza occultino con le loro false enunciazioni di principio, sono caratterizzati dall’intrinseco paradosso di essere strutture a delinquere dotate delle credenziali e degli avalli più alti.
Nel quotidiano consumarsi dell’accennato paradosso, essi rivestono comunque una sorta di ruolo di “educatori e moralizzatori” della società, indipendentemente dalla realtà che vivono e dall’esempio che danno. La loro impunita malignità, porta conseguenze ovvie e negative nella società civile che pertanto valuta in modo confuso i valori etici e diventa incline a barattare il bene col male non considerando più la dignità e l’onestà come valori assoluti, ma come prodotti da utilizzare per trarre vantaggi anche immeritati.
Eppure non è tutto.
Col pessimo esempio che danno, insieme allo strapotere e all’impunità che dimostrano, i partiti politici creano anche squilibrio psicologico nella società che, come è dato di prendere atto, cade spesso in forme fatalismo rassegnato, come di inconsueta violenza.
La politica insomma modella la nostra vita rendendoci incerti l’interpretazione dei valori e nervosi nella quotidiana difficoltà del vivere; essa ascende pure la nostra vita privata, il nostro intimo, il nostro pensiero e la nostra stessa natura.
In definitiva, il cattivo operato delle istituzioni non genera nella società civile solo disagi economici, ma anche esistenziali, affettivi, psicologici, caratteriali e relazionali.
In tale realtà cala la fede, la speranza, l’entusiasmo e ogni caratteristica dell’individuo che concorra a costruire la fiducia in se stesso.
La società è costituita da un insieme di soggetti, fatti e cose in connessione tra essi e non è possibile immaginare qualcosa che sia fuori da ogni contesto come a sé stante.
La vita sociale, politica, culturale, formativa, economica e globale mette ogni soggetto, fatto e cosa in relazione ovvero in un rapporto di funzionalità reciproca che può evidentemente essere orientato in modi diversi secondo diverse finalità e concezioni dell’utilità.
L’abitudine, comoda ma scellerata, di considerare il presente come un fotogramma scollegato dal passato e dal suo contesto, non ha prodotto alcun aspetto positivo.
Oggi, nel prendere atto che ogni cosa sia funzionale a un’altra, occorre interrogarsi su come impostare l’evoluzione di tale rapporto per mettersi sulla via di un migliore futuro, si potrebbe dire che l’essere umano debba puntare a un’evoluzione della funzionalità tale da ottenere un miglior funzionamento.
Diversamente dal funzionalismo sociologico che teorizza le scoperte del funzionalismo come caratteri fissi della società tali da essere paragonati alla scienza biologica, il funzionalismo sociopolitico deve necessariamente comprendere un concetto di dinamicità che abbia lo scopo di aiutare a individuare gli elementi del funzionalismo che concorrono appunto a ottenere un miglior funzionamento.
E’ inevitabile che tale dinamicità sia complementare al concetto di tempo.
Nell’accezione sociopolitica, è evidente che il macrofunzionalismo di Talcott Parsons, di Robert Merton e di Marion Levi si riappacifichi col microfunzionalismo di Kurt Lewin, insomma, il funzionalismo sociopolitico comprende il funzionalismo individuale.
In fondo, se ci pensiamo bene, un tale senso di funzionalismo dinamico comprende tutte le esperienze e rende chiaro che anche in campo sociopolitico sia possibile utilizzare proprio l’esperienza per definire progetti migliorativi.
Non è azzardato affermare che anche nel pensiero profondo di Georg Friedhrich Hegel si pongano elementi di funzionalismo dinamico nel capitolo della tesi, antitesi e sintesi.
La politica, come tutte le cose, è inevitabilmente assoggettata ai precetti della modernità; una volta, nelle molte occasioni in cui non era gradita, poteva essere disapprovata e magari “indotta alla ragione” dalla società civile, cioè dalla gente, che sapeva riunirsi e compattarsi anche alla sola insegna di semplici moti dell’animo … oggi però non è più così.
Capita spesso che la gestione della cosa pubblica non soddisfi le attese della gente e non è raro che questa venga perfino esasperata, ma i soli moti dell’animo, anche se gravi, oggi non sono più sufficienti a costruire validi argini per opporsi a una politica irrispettosa della società.
Ogni moto dell’animo è pur sempre una scintilla, ma se non vi sono altri elementi che lo accompagnano, difficilmente può svilupparsi in qualcosa di funzionale e concreto.
Nella sostanza, la modernità mette ogni cosa in relazione con l’altra e non dà ragione ad alcun progetto particolare che non sappia evolversi considerando la visione generale dell’insieme.
Nel tema specifico del malcontento generato dalla politica, non può essere realizzata alcuna utile rivalsa popolare se alla citata scintilla non si affianca un progetto in grado di meritare consensi, attenzioni, strumenti, strutture organizzate anche in senso territoriale e mezzi finanziari.
A fronte di problemi sacrosanti, al Popolo sono state chieste anche mobilitazioni poco utili, ora, grazie anche all’eccesso di sedicenti "leader", la gente è sfiduciata e spesso stanca di partecipare.
Possiamo chiedere che gli "inventori di proclami" si facciano un po' carico di questa responsabilità?
Noi siamo un Popolo in qualche modo sotto pressione e non possiamo liberarci seguendo i nevrotici concetti del "concreto e subito".
Chi si crede di essere concreto chiedendo mobilitazione intorno all'utopia, procura gravi ritardi alla società.
Per affrancarsi dal disagio generato da una politica istituzionale poco accorta, occorre conoscenza, capacità d'attesa, umiltà e anche un pizzico di cinismo … del resto, della scintilla abbiamo già parlato.
Il termine “funzionale” indica per sua natura un concetto di dinamismo e correlazione, insomma, ogni cosa è funzionale a qualcos’altro.
In ogni campo delle attività umane si progettano prodotti e iniziative che sono funzionali al raggiungimento di obiettivi precisi.
La cultura del funzionalismo può trovare felice applicazione anche in campo sociopolitico, affermandosi attraverso lo studio e la ricerca di elementi funzionali al bene della collettività.
Il funzionalismo, ancora una volta per sua natura, determina a priori i particolari degli obiettivi che intende conseguire, dunque, rende automatica la possibilità di testarli e verificarli perfino in corso d’opera.
L’applicazione del funzionalismo può creare un maggiore rapporto di fiducia tra il Popolo e la politica, rendendo l’uno più responsabile circa il concetto d’uso della libertà di parola e l’altra meno ingannevole.
La cultura funzionalista può costituire una sorta di preludio o primo passo della nostra corsa verso quel livello di maturazione sociale e adeguatezza tecnologica che intanto ci separa dalla possibilità di applicare immediatamente un più avanzato sistema di democrazia diretta.
Il delirio della politica
La fine della realtà
La realtà non è più univoca né oggettiva; questo è un tema assai specifico che caratterizza la società di oggi rispetto a quella dei decenni e dei secoli passati. I fatti raggiungono il mondo perché raccontati e quando ciò non accade, è come se non esistessero. La realtà non è dunque la realtà, ma la rappresentazione di se stessa. Una metafora potrebbe essere quella dell’albero che cade nella foresta e di cui nessuno sa nulla, ma se mentre cade esso è osservato da un raccontatore o ripreso da una telecamera, allora il mondo saprà che l’albero è caduto, dunque è caduto.Insomma, la realtà perde univocità ed è sostituita dalla rappresentazione di se stessa che, per ovvi motivi, diviene soggettiva non solo nella costruzione del racconto, ma anche nella conseguente interpretazione di ciascun destinatario al quale è raccontata.
Fieri e convinti tutti d’avere ottenuto la libertà di pensiero e di parola, noi siamo facilmente coinvolti dalla rappresentazione di realtà emotive se non manipolate. In tale regime, può accadere che il nostro pensiero e la nostra parola, anche se con onestà, si liberino su stimoli non oggettivi e talvolta completamente falsi.
E’ inconfutabile che la modernità ci cali in una società assai complessa che non potrà essere capita da quanti gireranno lo sguardo altrove, nell’illusione di vivere un approccio semplice e poco faticoso.
In tale quadro, dobbiamo fare nostra la consapevolezza che quasi mai è dato di essere diretti osservatori di un fatto e che più verosimilmente si è raggiunti dalla rappresentazione dello stesso. Questo è un motivo sufficiente per non volere che la nostra libertà di pensiero e di parola sia una sorta di risposta automatica alla realtà che ci viene in qualche modo rappresentata.
Certo è che la novità di non potere più considerare la realtà come reale, porta incertezza sui nostri consueti riferimenti psicologici e culturali ed espone al rischio di smarrirsi in una confusione che porta nervosismo in molti soggetti della società.
Teniamo però ben presente che pur non potendo essere testimoni diretti dei fatti, noi possiamo invece essere testimoni delle loro conseguenze.
Sarebbe dunque bene imparare a trattenere il pensiero e la parola quando sollecitati dalla spinta emotiva del racconto e liberali, invece, quali reazione alle conseguenze oggettive che la realtà, comunque raccontata, genera.
La questione, che sembrerebbe semplice, suggerisce di porsi con prudenza davanti alle sollecitazioni emotive delle realtà rappresentate e di liberare la parola, il pensiero e l’azione mentre le conseguenze di ogni fatto ci raggiungono direttamente.
Sembrerebbe semplice, ma non lo è.
Nella rappresentazione della realtà concorrono tecnologie sempre più sofisticate e tali da poter rendere il racconto ammaliante e ipnotico; del resto, se noi guardiamo un video, crediamo a tutti gli effetti di quel video anche quando si tratta di effetti di “regia”. Inoltre, in base al senso di confusione che abbiamo già accennato, la società è sempre più nervosa e sceglie di credere al racconto pur di crearsi subito un punto di riferimento.
In questa condizione, pur convinti di essere liberi, noi non siamo liberi per nulla.
La libertà è, per sua antonomasia, libertà dal condizionamento, ma la realtà rappresentata tende invece a condizionare tutti.
In questo modo, la rappresentazione dei fatti cambia la base della nozione di libertà che pertanto rischia di assopirsi sulla sua stessa rappresentazione.
Non sono libero perché sono libero, ma sono libero perché parlo, penso e agisco “liberamente” guidato da una realtà condizionata.
Dalla Libertà sopraffatta a quella contraffatta
La modernità, per sua natura, muta le cose e i concetti, ma da qualche tempo diventa pure abile nel contraffare i riferimenti classici della cultura.Abbiamo visto come la realtà ceda il passo alla rappresentazione di se stessa, ma non illudiamoci che questo sia l’unico fenomeno di cui prendere atto.
La libertà è un altro concetto pericolosamente caratterizzato dalle incredibili metamorfosi della modernità.
Intorno a noi cambia tutta la vita e non solo alcuni capitoli di essa, dunque occorre sbrigarci a capire che non è possibile che cambi tutto il mondo, tranne il nostro modo di pensare.
Anche in questo caso la modernità ci cala in una società complessa e ci pone davanti a un bivio terrificante.
Da una parte ci sono i sacrifici che possiamo percorrere per essere protagonisti consapevoli e liberi nella complessità che ci circonda, mentre dall’altra possiamo scegliere - diciamo così - di non “affaticarci” per avere un’idea più profonda delle cose; in questo caso, però, saremo comunque schiavi della complessità che non potremo mai semplificare attraverso l’ignoranza … non a caso si assiste oggi ad una sorta di analfabetismo culturale che piuttosto che percorrere il sacrificio della conoscenza, pretende di dichiarare inutile la cultura … in un certo senso è come se proponesse di affidare a un sedicente stregone, un’operazione in chirurgia che ci riguarda.
Una volta il concetto di libertà era rivolto soprattutto al capitolo della libertà fisica, oggi quel concetto include una serie di capitoli, Già considerando le libertà di parola e di opinione, è lapalissiano a che tali libertà non possano essere effettivamente esercitate attraverso l’ignoranza.
Anche il concetto di libertà subisce, insomma, le metamorfosi della modernità e non trattandosi più di sola libertà fisica è facile capire come una stagione poco etica del potere non possa più occuparsi solo di sopraffare la libertà, ma deve soprattutto contraffarla. La libertà sopraffatta è una limitazione semplice fin qui ben avvertita tanto dal regno umano quanto da quello animale, ma la libertà contraffatta e assai più subdola e tende a creare esseri umani rovinosamente prigionieri pur nella convinzione di essere liberi.
La storia umana si è costruita nella lotta contro la sopraffazione della libertà, ma con la contraffazione di essa, il tema è oggi assai più subdolo e pertanto occorre prepararsi a un tipo di lotta diversa dal passato.
La metafora racconta che lo sportivo ha allenato i muscoli per battere un avversario, ma che ha dovuto allenare anche la mente quando l’avversario è stato un baro.
La nostra società si trova davanti ad un moderno attacco alla libertà e deve reagire promuovendo una meditazione profonda che porti a una strategia nuova, sapendo bene che in tale impegno ogni superficialità è dannosa.
I manifesti politici
I manifesti politici quali aneliti di riscatto, sono sempre stati generati da malcontenti e crisi della società … noi oggi siamo scontenti e la nostra società è agli albori di una crisi politica e sociale disastrosa.
La storia è costellata di manifesti politici e in buona parte si è evoluta in base ad essi. I manifesti sono dunque una sorta di carta dei connotati di fatti culturali, sociali e politici di cui gruppi più o meno consistenti di esseri umani, si fanno inventori, sostenitori, finanziatori e proseliti.
Essi sottendono l’analisi, la critica, la comunicazione e la proposta, sono per loro natura espressione di libertà supportata dal desiderio di reazione e di cambiamento.
I manifesti costituiscono una forte base del processo evolutivo umano, ma perché nascono?
Non c’è dubbio che nascano come atto di accusa e sfogo della società contro situazioni inique e contingenti della vita, causate dall’oppressione del potere politico e dunque dai più svariati protagonisti che opprimono le quotidiane condizioni di libertà e serenità.
Invasori, vincitori, usurpatori, despoti, tiranni e quant’altro, hanno oppresso interi popoli in base alle prepotenze di regimi di potere fin qui identificati come totalitarismi ovvero regimi riferiti a un dittatore del quale si è immaginato di potersi liberare attraverso la ragione della democrazia.
Eppure, quella democrazia nata da una stagione di cultura politica così antica, si denuncia oggi illusoria e falsa e denuncia al mondo l’esistenza di mentalità politiche del potere che non si sono mai affrancate dalla ignominiosa tendenza ad opprimere il Popolo per soddisfare tornaconti personali.
Noi abbiamo fin qui pensato che la modernità avesse fornito l’alternativa democratica quale forma di gestione del potere, ma prendiamo invece doloroso atto che anche il concetto di dittatura ha subito la metamorfosi della modernità e invece di un passaggio dalla dittatura alla democrazia, stiamo assistendo ad una metamorfosi della gestione del potere che introduce il concetto di dittatura moderna. Il nostro Manifesto si occuperà di questo, ma sia immediatamente chiaro che quella che abbiamo chiamato dittatura moderna è un ignominioso delirio del potere.
Lo stato dell’arte
l’Italia di oggi è un terreno fertile per la nascita di manifesti politici?
Sicuramente sì.
Nel nostro Paese gli esordi del terzo millennio si affermano come il momento più basso e volgare della storia della politica.
Puntando in origine al bene comune, la politica si articolava in partiti che rivendicavano il proprio ruolo in base alla cultura e al senso della vita sociale che li differenziava.
Oggi essi non puntano più al bene della collettività e si differenziano solo nel momento enunciativo dei loro principi che si dimostrano sempre falsi. Nella pratica, essi sviluppano sensi di venalità e avidità così forti da non riuscire più a tenere in considerazione nessun dettame umano, etico e sociale.
In base a così precisi dati di fatto, è facile evincere che la società non sia più un insieme di esseri umani da salvaguardare, ma una sorta di spugna da spremere per tirare fuori i costi dei vizi e degli errori dell’ordinamento pubblico nel suo insieme.
La vita di ogni partito, dunque, si distingue nei due diversi momenti dell’enunciazione e del comportamento pratico.
Nell’enunciazione i partiti rivendicano i fondamentali delle loro differenti culture originarie e, tutti indistintamente, propongono forti richiami ai valori umani, etici e sociali.
Nella pratica, gozzovigliano nella più bassa immoralità rinnegando i richiami dei loro momenti di enunciazione, le loro origini e la loro storia, nonché macchiandosi di infamia e corruzione.
Con queste premesse, è facile capire come cerchino di garantirsi la permanenza al potere con ogni mezzo e senza alcun scrupolo per i gravissimi disagi che procurano alla società.
I partiti politici nascono per sancito costituzionale e pertanto, qualunque sia stata la loro metamorfosi e qualsiasi nefandezza occultino con le loro false enunciazioni di principio, sono caratterizzati dall’intrinseco paradosso di essere strutture a delinquere dotate delle credenziali e degli avalli più alti.
Nel quotidiano consumarsi dell’accennato paradosso, essi rivestono comunque una sorta di ruolo di “educatori e moralizzatori” della società, indipendentemente dalla realtà che vivono e dall’esempio che danno. La loro impunita malignità, porta conseguenze ovvie e negative nella società civile che pertanto valuta in modo confuso i valori etici e diventa incline a barattare il bene col male non considerando più la dignità e l’onestà come valori assoluti, ma come prodotti da utilizzare per trarre vantaggi anche immeritati.
Eppure non è tutto.
Col pessimo esempio che danno, insieme allo strapotere e all’impunità che dimostrano, i partiti politici creano anche squilibrio psicologico nella società che, come è dato di prendere atto, cade spesso in forme fatalismo rassegnato, come di inconsueta violenza.
La politica insomma modella la nostra vita rendendoci incerti l’interpretazione dei valori e nervosi nella quotidiana difficoltà del vivere; essa ascende pure la nostra vita privata, il nostro intimo, il nostro pensiero e la nostra stessa natura.
In definitiva, il cattivo operato delle istituzioni non genera nella società civile solo disagi economici, ma anche esistenziali, affettivi, psicologici, caratteriali e relazionali.
In tale realtà cala la fede, la speranza, l’entusiasmo e ogni caratteristica dell’individuo che concorra a costruire la fiducia in se stesso.
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