KRUGMAN, ROOSVELT E LE NARRAZIONI DEI KEYNESIANI

Published on Movimento Libertario | shared via feedly mobile

DI MATTEO CORSINI

"E che cosa hanno fatto i politici e i banchieri centrali dei giorni nostri? Ovviamente hanno ripetuto l'errore del 1937… La cosa davvero incredibile è che questo nefasto errore in generale non è frutto di interessi particolari o di una reticenza a prendere scelte difficili… Al contrario, è incoraggiato da quelle "Persone Tanto Coscienziose" che si fanno vanto di essere pronte a prendere scelte difficili (che ovviamente comportano patimenti per gli altri)." (P. Krugman)

Uno dei mantra della narrazione keynesiana del periodo della Grande Depressione consiste nel ritenere che il presidente Roosevelt sbagliò quando, nel 1937, interruppe le politiche fiscali fortemente espansive poste in essere dall'inizio del suo primo mandato (1934). Quella decisione fece ripiombare nella malattia un sistema economico ancora convalescente, secondo i keynesiani. Solo i massicci piani di spesa (anche militari) degli anni successivi avrebbero messo le cose a posto.

Nessun keynesiano pare essere sfiorato dal dubbio che quelle politiche stessero prolungando e aggravando il problema. La cosa non deve stupire, però, dato che solo se si individuano correttamente le cause è possibile fornire una diagnosi corretta e una cura che non peggiori le cose. Per i keynesiani (e anche per i monetaristi, a dire il vero) i problemi iniziarono nel 1929, mentre in quell'anno iniziarono in realtà a venire al pettine i nodi di una politica monetaria fortemente espansiva condotta dalla Fed negli anni Venti, con conseguente enorme crescita del credito (debito). "America's Great Depression" di Murray Rothbard fornisce, a mio parere, un'analisi esaustiva e convincente di ciò che accadde all'epoca: suppongo che Krugman nemmeno sappia che quel libro esiste.

Dunque, oggi le "Persone Tanto Coscienziose", che per Krugman sono tutti coloro che la pensano diversamente da lui, soprattutto in materia di deficit spending, starebbero inducendo politici e banchieri centrali a commettere gli stessi "errori" del 1937. E non per "interessi particolari o di una reticenza a prendere scelte difficili", bensì perché non capiscono nulla.

Ora, se è vero che in alcuni Paesi europei sono in atto politiche fiscali più o meno restrittive, mi pare arduo sostenere lo stesso per gli Stati Uniti o il Giappone. Quanto alle politiche monetarie, cosa ci sia di restrittivo francamente non riesco proprio a capirlo. Ma questo è un classico dei keynesiani: se lo stimolo non funziona, per loro significa sempre che è insufficiente, a prescindere dall'entità.

Non è però questo il punto che voglio mettere in evidenza, quanto, piuttosto, le parole che Krugman mette tra parentesi. A suo dire, le politiche economiche attuali "comportano patimenti per gli altri". Detta così parrebbe che, al contrario, le sue proposte sarebbero indolori per chiunque, portando tutti a uscire dalla crisi felici e contenti.

Considerando che Krugman, come tutti i keynesiani, ritiene che un eccesso di debito debba essere risolto alleviando il peso per i debitori, e che per ottenere quel risultato senza un default esplicito è necessario inflazionare la moneta, mi pare del tutto evidente che per qualcuno evitare dei patimenti sia impossibile. In caso contrario, vorrebbe dire che esistono pasti gratis, ma non mi risulta che qualcuno sia ancora riuscito a dimostrare l'esistenza di pasti gratis.

Da questo io deduco che se i patimenti non debbono riguardare i debitori, debbano per forza toccare ai creditori, ossia a tutti coloro che, nel tempo, hanno rinunciato a consumare tutto (o più) del reddito percepito, o che non riescono a incrementare i propri redditi in funzione della perdita di potere d'acquisto della moneta.

Francamente non vedo per quale motivo favorire i debitori a danno dei creditori. Su questo punto, i keynesiani tacciano di moralismo (o cose del

genere) coloro che sono contrari ad alleviare il peso dei debiti mediante inflazione. La trovo una affermazione patetica e puerile. Si tratta, semplicemente, di lasciare che sia il mercato, su cui interagiscono volontariamente una moltitudine di soggetti, a stabilire l'affidabilità di un debitore. Questo non significa che i creditori non patiscano perdite; al contrario, subiranno perdite in caso di insolvenza del soggetto a cui hanno fatto un prestito.

In sostanza, ognuno dovrebbe essere responsabile delle proprie scelte, ed essere consapevole che, a maggior ragione avendo a che fare con altri soggetti, è inevitabile agire in un contesto caratterizzato da incertezza.

Le azioni dello Stato e delle banche centrali non eliminano l'incertezza, semplicemente introducono arbitrariamente vantaggi per alcuni soggetti e svantaggi per altri, inducendo i primi ad assumere più rischi di quanto farebbero in assenza di interventi. Tutto ciò, oltre ad avere provocato danni ormai innegabili, crea discriminazioni a mio avviso ingiustificabili.

E' moralismo questo?

feedly. feed your mind. http://www.feedly.com

Commenti