Paolo Flores d'Arcais

Dobbiamo ringraziare Paolo Flores d’Arcais giornalista/scrittore e militante quasi settantenne della sinistra italiana (e ovviamente professore universitario, pure mantenerli ci tocca), direttore di una rivista chiamata giustamente Micromega. Bisogna ringraziarlo perché è raro riuscire in una sola frase a sintetizzare un universo culturale e politico che normalmente riempie di sé interi scaffali e intere librerie. C’è riuscito benissimo -forse inconsapevole- con una singola breve frase, all’inizio dell’ultimo numero della sua rivista: in
tre righe ha spiegato perfettamente cos’è la sinistra italiana.

La frase preziosa è questa:

«L'intellettuale di destra è una contraddizione in termini... L'intellettuale di destra o di centro, quando esiste, è personale di servizio. C'è un solo impegno, quello democratico, di sinistra. Chi sta dalla parte della reazione e del privilegio, cioè dalla parte sbagliata, non è un intellettuale ma un officiante della servitù volontaria».

C’è una parola chiave, privilegio.

Paolo Flores d’Arcais intende per privilegio il solo padrone delle ferriere che sfrutta l’operaio, anzi, che in quanto padrone/proprietario della fabbrica (detta anche mezzo di produzione) non può non essere sfruttatore anche nel caso si comporti civilmente, umanamente, pacatamente.

Altri privilegi sparsi per l’orbe terraqueo, e Dio solo sa quanti ce ne sono, il poveretto non riesce a vedere e se li vede rimangono del tutto secondari. Da questo primigenio privilegio discendono a cascata le concezioni della società, dello stato, del pensiero: la magistratura per esempio è buona se dà ragione all’operaio e mai al padrone, se persegue il politico di destra (colpevole già di suo) e assolve il sinistro; il parlamento è buono se a maggioranza di sinistra (sovranità del parlamento) altrimenti è dittatura dei numeri. L’arte, la creatività, la morale, l’istruzione, lo spirito, la religione, sono positivi se mestolano e rimestolano sempre quell’incipit primigenio, il padrone e l’operaio, altrimenti sono sovrastrutture cioè robetta.

Ammesso e non concesso che il padrone in quanto tale sfrutta l’operaio (molti imprenditori di sinistra potrebbero spiegare a Paolino che può benissimo esistere l’operaio che sfrutta la ditta), la cosa strabiliante di  un siffatto universo “culturale” è il non vedere molti altri e assai peggiori privilegi.
Un boiardo di stato che si dà compensi milionari qualunque sia l’andamento della sua “azienda” non è un privilegiato? Un dirigente della pubblica amministrazione molto ben pagato per “guidare” un ufficio che pure risulti inutile e vessatorio, non è un privilegiato? Il professore di università pletoriche, gonfiate e largamente parassitarie, non è un privilegiato?
L’usciere pur a € 1.200/mese di un ente inutile e dannoso, non è un privilegiato a fronte di chi lavora in ditte che ogni giorno devono saper stare a galla nella concorrenza globale? Il primario inutile di una struttura sanitaria doppia ma voluta dalla consorterie politiche, sindacali e familistiche, non è un privilegiato? Il dipendente Alitalia che costa alla collettività cinque volte il valore del suo lavoro, non è un privilegiato? Lo scopino e il fontaniere i cui  stipendi sono assicurati da tariffe stabilite per legge dalla politica anziché dal gradimento dell’utenza, non sono privilegiati? Il giornalista Rai non è un privilegiato a fronte di chi fa informazione senza aiuti di stato? Quella massa di impiegati pubblici che inutili e dannosi pascolano nei chiostri di conventi malamente riconvertiti, non sono privilegio allo stato puro?

Parlamentari e affini e cortigiani del sistema istituzionale italiano (i più numerosi e costosi del mondo), non sono privilegio? I molti concittadini che grazie alle “conquiste” della trimurti sindacale sono andati in pensione con 15 anni, sei mesi e un giorno di lavoro (o “lavoro”), non sono privilegiati? E con essi la massa di uomini e donne validissime andati in pensione a cinquant’anni, non sono privilegiati?

A Paolino Flores neanche sfiora l’idea che tutti questi spaventevoli e massicci privilegi costituiscano il debito italiano, cioè la nostra crisi! Altro che padrone e operaio! La guerra (di classe) da molto tempo s’è spostata largamente su altri fronti, precisamente su questo dello Stato, pretesto di rinnovati privilegi nobiliari e stavolta di massa, ma ei non demorde. Non s’accorge che lo Stato, lungi dall’incarnare il bene comune, è lo strumento del privilegio dei molti mantenuti dal denaro pubblico a carico degli sfruttati, coloro che lavorano in proprio o alle loro dipendenze.

Non lo sfiora che tutti codesti privilegi esiziali sono roba prevalentemente de sinistra, cibo ideale di sindacati, “diritti”, “democrazia”, sacralità dello Stato. Ei non vede che proprio il virus di sinistra ha degenerato lo Stato “democratizzando” quel privilegio che un tempo fu di pochi, idea geniale e satanica!

L’ascolta la gente per strada, al mercato, al bar, fuori dalla chiesa, allo stadio? No non l’ascolta, perché ei non frequenta tali luoghi malsani, va solo in redazione, in facoltà, al convegno, al congresso, al girotondo, stop e gli altri son tutti scemi, plagiati, ignoranti, deficienti, mafiosi.

Lui impavido sta fermo sul pezzo. Lesse un giorno una teoria socio economica di un certo Carlino Marx o per sentito dire, gli piacque o meglio gli parve piacergli quale unica teoria degna di nota, rivestita di verità ultima e definitiva, e siccome era giovane e felice, ora soppesare meglio quella sacralità gli suona come insopportabile tradimento, lui non tradisce, è fedele nei secoli.

Non lo sfiora la constatazione che coloro che vivono senza sussidio e ausilio di Stato non acaso stramazzano di tasse, per mantenere l’esercito di privilegiati; sfruttati più di quanto il padrone faceva coi contadini, oggi il 70% ieri era “solo” mezzadria al 50%.

Non lo sfiora che per giustificare un milione e mezzo di impiegati inutili si moltiplicano enti, uffici e labirinti burocratici, che guarda caso sono l’impedimento maggiore a impresa lavoro e sviluppo. Quindi dannosi oltre che inutili. Ma a lui che gliene frega? Impedire impresa tutto sommato è positivo, così non c’è padrone ed operaio... Poi celebrano il rito del pianto della mancanza di fondi!

Peccato, par di udire, appena aveva imparato a campare senza mangiare, m’ è morto il somaro.
Fermo sul pezzo ama vincere facile, vedere solo il classico padrone di fabbriche impiantate con antichi capitali accumulati nei secoli del dominio agrario e mercantile, come se da molto tempo impresa di per sé non implichi pagare stipendi, contributi, fornitori, tasse -cioè la cosa più sociale che si possa immaginare!
Tra l’altro nella grande impresa contemporanea il padrone non esiste, esiste un consiglio che rappresenta la massa di investitori, che sono milioni di persone sparse pel mondo,magari gli stessi dipendenti di quell’azienda, e il consiglio nomina un padrone protempore, l’amministratore delegato, chiamato a massimizzare il profitto per tutti, operai/investitori compresi, un amministratore che se non riesce bene viene licenziato.
Gli sfugge incredibilmente che dal dopoguerra -è storia delle nostre famiglie, dei nostri paesi!- la stragrande maggioranza è impresa nata e cresciuta dalle vie più disparate, dai soggetti più disparati, imprenditoria diffusa, popolare, capillare, ex contadini ed ex operai diventati artigiani, imprenditori, commercianti e i loro figli professionisti, che hanno fatto nel torno d’una generazione l’Italia paese tra i più ricchi del pianeta, coi mutui in banca o pure senza. Gli sfugge che questo è il capitalismo, cioè la libertà d’impresa e la libertà di scelta del consumatore, che ci ha fatto tutti benestanti, ma che oggi incontra il suo massimo
ostacolo proprio nello Stato.
Non vede, non vuole vedere che in economia vince il mercato, ovvero la scelta del consumatore, a fronte di che la proprietà della fabbrica rimane cosa del tutto secondaria: o c’è un padrone o è una cooperativa, se non vendi chiudi.
Non vede che oltre al mitico operaio preposto alla produzione del prodotto, a monte e a valle c’è un’intera filiera di lavoratori di pari importanza: chi il prodotto lo pensa e lo progetta, chi ne valuta il gradimento, chi lo finanzia, chi lo ingegnerizza (ne prepara la produzione), chi ne cura la diffusione, chi la divulgazione, infine -dopo la produzione- chi lo incarta, chi lo trasporta, chi lo distribuisce, chi lo ricicla...
Cose di tutti i giorni, della massaia, del pensionato che in video controlla i suoi risparmi.
Eppure questo professorone col botto, direttore di Micro verità e Mega cazzate, non vede e non sente ma purtroppo parla e straparla perché per un satanico sortilegio togliattiano, lui e l’infinita cosca di sodali e seguaci suoi pari hanno la precedenza se non il monopolio su tv e giornali, tutti i giorni dal manzanarre al reno, sicché pare proprio -a sentire i lagrimosi tg- che i termini del vasto mondo non siano altro che quella misera distinzione primigenia padrone/operaio e altre due-tre fesserie che gli si sono violentemente conficcate in testa.
A lui e la sua masnada di ciarlatani ben pagati coi soldi degli sfruttati. Anche mantenerli ci tocca!


Padroni delle università e dei media, al fine di meglio assecondare la propria natura di servi e officianti dell’oppressione di Stato, Flores e compagnia possono bellamente impossessarsi a piacimento di parole altrui, anche quelle fino poco prima disprezzate e derise. E subito diventano sacre. Il solidarismo cattolico fu trattato da parente scemo del paternalismo (altra parola magica per togliere di mezze tutte le buone misure che facevano ombra alla palingenesi del socialismo), ora se ne riempiono la bocca fino al vomito. Il riformismo era roba da femminucce, la socialdemocrazia da fucilazione, la democrazia borghese, i froci erano termine di disprezzo togliattiano, oggi invece, nel torno d’una stagione, la frocitudine è il nuovo sacramento laico del progressismo politicamente corretto.
E sono perfino capaci di strillare che l’egemonia sui mass-media ce l’ha qualcun altro...
Proprio vero che non c’è limite alla sfacciataggine.
E se dunque privilegio è la parola chiave per comprendere appieno il delirio dei Flores d’Arcais, l’altra parola rivelatrice è democratico. Roba da toccarsi le palle. Partito Democratico, Magistratura Democratica, Scuola Democratica, Istituzioni Democratiche, Cinema Democratico...naturalmente di sinistra, ‘dde sinistra diremo meglio. Capite dunque bene l’anomalia italiana. Solo qui infatti, unica nazione tra le civiltà europee e
occidentali, destra e sinistra non sono due legittime visioni del mondo a chi meglio lenisce gli inaffondabili difetti umani, bensì rivestono il carattere dell’ancestrale coppia bene & male, e dunque il perenne clima di guerra civile è costituzionalmente assicurato nei secoli togliattiani a venire.
Teniamo invece ben fermo il punto, la contraddizione di Flores è in termini: stante che la sinistra è per lo Stato oppressore, la democrazia non può che degenerare in privilegi; se vogliamo salvare la democrazia dobbiamo buttar fuori la sinistra dallo Stato, restituendolo alla sua naturale e doverosa neutralità. Sinistra-democrazia-privilegio è il nodo gordiano da recidere.
Abbiamo perso tempo a disturbare il nostro Paolino Flores principe d’Arcaicissime sociologie, perché ei non è certo solo, è sì una punta, ma rivela e sintetizza bene, rappresenta e valorizza appieno l’universo mondo, l’immaginario completo, lo spirito vero e indicibile del normale, del tipico, del consueto progressista italiano, di sinistra, comunista, cattocomunista, fa lo stesso. Ben metà degli italiani compresi turbe di banchieri, preti,
professori, giornalisti, grand commis, maestrine, magistrati, artisti e artigiani, dottori e architetti, è dentro fino al collo in tal delirio maleodorante, da la cintola in suso.
Chi ci salverà da questa paralisi delle menti?
Luigi Fressoia, pg

Italiani
Rivista che ignora il politicamente corretto ...Non praevalebunt...
n. 150- PAOLO FLORES D’ARCAIS
Del 9 Novembre 2013
Curatore: Luigi Fressoia archifress@tiscali.it 339.1089814
Via del Castellano 7 – 06121 Perugia

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