Secondo la sociologia della religione schematicamente esistono tre tipi di credenti:
- Quelli che si proclamano cristiani;
- Quelli che si proclamano cristiani e frequentano i riti e i sacramenti della chiesa cattolica;
- Quelli che si proclamano cristiani, frequentano riti e sacramenti cattolici e adottano uno stile di vita fondato su valori e precetti cristiani.
E’ evidente che i cristiani del primo tipo corrispondono all’ampia maggioranza, quelli del secondo tipo sono nettamente meno numerosi del primo, quelli del terzo tipo sono nettamente meno numerosi del secondo.
In questo schema è facile individuare nei cristiani del terzo tipo quelli che più si avvicinano al modello evangelico. Sono coloro che potremmo definire qualitativamente col titolo impegnativo di “veri cristiani” e che quantitativamente rappresentano un’ infima minoranza all’interno del contesto occidentale.
Nella nostra disamina col termine “cristiani” o “credenti” o “cattolici” declinati anche al singolare ci si riferisce sempre ai cristiani del primo tipo. Questo campione costituisce l’aggregato più consistente in seno alla civiltà occidentale. Col termine di “cristiano / credente / cattolico coerente” intendiamo invece cristiani del secondo e terzo tipo.
Per “ethos” si intende sempre lo stile di vita o modalità di comportamento abituali: in questo contesto distingueremo fra “ethos neopagano / laicista” ed “ethos cristiano”.
Tracciate brevemente le coordinate circa il tipo di geografia umana cui ci riferiamo occorre ora stabilire uno spartiacque fra un “prima” e un “dopo”, una linea di separazione oltre la quale in realtà non cambia nulla dal punto di vista ontologico, ossia del carattere dell’essere, ma cambia tutto dal punto di vista della consapevolezza ossia dell’auto percezione che il cristiano ha di sé stesso.
Questo spartiacque lo possiamo individuare nel definitivo consolidarsi del processo di secolarizzazione che è seguita alla terza rivoluzione industriale cominciata all’inizio degli anni Sessanta. A partire da allora forse per la prima volta nella storia il credente si trova di fronte non tanto alla possibilità, ma all’obbligo esistenziale di scegliere fra un ethos sacro cioè religioso o uno profano cioè neopagano. Il relativismo, come frutto più maturo della modernità, infatti consente l’affiorare in superficie di una serie di proposte da offrire all’attenzione dei cristiani in cui le questioni etiche assumono primaria importanza.
Tali proposte sono state spesso sottoposte alla valutazione del pubblico perché fossero o meno convertite in leggi come nel caso dei referendum sul divorzio e sull’aborto. Altre situazioni tipiche della modernità riguardano la possibilità di dibattere liberamente e senza remore di carattere morale le questioni etiche che al di qua dello spartiacque sopra delineato erano considerate indiscutibili. Basti pensare ad esempio al divampare in tempi recenti della contesa dialettica suscitata da questioni quali le unioni civili o le adozioni per le coppie omosessuali, il proliferare di metodi contraccettivi, l’eutanasia, la fecondazione assistita.
Tutte questioni che emergono al dibattito pubblico e, grazie anche alla visibilità mediatica di cui godono, si impongono con tale forza all’attenzione generale da non poter più essere eluse dai cristiani, ma pretendono la loro partecipazione attiva, l’esigenza di una loro chiara presa di posizione talvolta perfino certificata da un atto formale come quello previsto dai quesiti referendari. In definitiva tali questioni diventano un test probante, un banco di prova per verificare fino a che punto certi cristiani sono coerenti come del terzo tipo, oppure se si illudono di esserlo.
E’ necessario precisare che questa verifica non è a beneficio di qualche osservatore esterno o esperto in materia che voglia condurre un’indagine sociologica sulla vera essenza della religione.
La verifica invece torna a beneficio dei cristiani perché essi stessi acquistino piena coscienza di ciò che sono in modo irrefutabile scavalcando i pretesti, le rappresentazioni parziali, le percezioni di comodo che fino alle soglie della secolarizzazione conclamata avevano permesso la ricostruzione di un auto percezione di sé scollata dalla verità della propria natura. In pratica ontologia e cognizione auto percettiva non possono più essere disgiunte di fronte alla chiamata alle scelte totali cui la secolarizzazione costringe: si vota, si sceglie, si prende posizione su materie fondamentali in modo così netto da costringere a uscire allo scoperto senza ambiguità fra ciò che si pensa e ciò che si esprime a patto, naturalmente, di non barare con se stessi. La verità su sé stessi, in termini psicologici, non può più essere compressa nelle oscurità dell’inconscio, ma emerge alla coscienza in modo prepotente .
Questa dinamica evidentemente non era possibile nelle epoche che hanno preceduto il consolidamento della secolarizzazione per la semplice ragione che determinate questioni etiche non meritavano di essere dibattute e quindi non assurgevano alla pubblica valutazione perché le si considerava così ovviamente date per acquisite da essere al di sopra di qualsiasi giudizio. Questioni come il divorzio o l’aborto in epoca pre laicista in un contesto non secolarizzato e quindi ancora sostanzialmente modellato dalla religione non potevano nemmeno lontanamente essere poste in discussione; restavano così consegnate alle certezze indubitabili e quindi sottratte a qualsiasi valutazione che imponga, come tutte le valutazioni, una scelta netta. Non ci si poteva esprimere né a favore né contro per l’ovvio motivo che tale possibilità non esisteva e non esisteva perché sarebbe stato considerato folle contemplare la semplice opportunità di sottoporle a giudizio. E col giudizio sulle questioni etiche era negata anche la possibilità di conoscere meglio sé stessi o, in certi casi, continuare a barare con sé stessi.
La secolarizzazione dunque ha fatto cadere una maschera perché ha costretto una parte dei cristiani – cioè quelli del primo tipo – ad apprendere una dolorosa verità che li riguarda: sono, dal punto di vista etico o dell’ethos qui inteso come stile di vita, neopagani.
Dal Concilio Vaticano II in poi le vittorie laiciste in ambito etico che hanno veicolato la secolarizzazione e le sconfitte della Chiesa cattolica, chiarificano finalmente quanto certi cristiani siano antropologicamente secolarizzati come del resto il loro ethos neopagano già lasciava trasparire.
I credenti dovevano dunque arrivare alle soglie della contemporaneità per poter finalmente contemplare se stessi: un sé, quello contemplato, ora limpido e cristallino, non più pietosamente mascherato dall’illusione di essere cristiani coerenti.
Perché di fronte alla possibilità di appoggiare scelte laiciste o cattoliche rese note grazie al dibattito pubblico e al voto istituzionale il cristiano non ha più potuto barare con se stesso: se sceglieva infatti di appoggiare le opzioni etiche laiciste il cattolico doveva accettare ciò che le sue scelte stesse impietosamente evidenziavano cioè il fatto che anch’egli era secolarizzato, anch’egli viveva secondo un ethos neopagano non molto diversamente da come lo vive un non credente, un teista, uno spiritualista, un agnostico, un credente non cristiano.
Prendere atto di questo dato non solo antropologico sulla propria vera natura, ma anche psicologico e cognitivo riguardo il proprio ethos appare ormai inevitabile per qualsiasi cristiano sia abbastanza coraggioso da osare il confronto con sé stesso.
Questo esito impietoso, ma salutare che finalmente dice all’uomo la verità sull’uomo, sulla sua costitutiva, antropologica, connaturata incapacità di essere un cristiano coerente tuttavia si rivela estremamente benefico perché costringe il cattolico ad evadere da un assetto inautentico per riconfigurarlo in un assetto autentico.
L’uomo occidentale che in gran parte, lo ripetiamo, si identificava col cristiano del primo tipo, da almeno due secoli a questa parte infatti si percepiva come religioso sia perché immerso in un contesto visibile punteggiato da simboli cristiani, sia perché soprattutto, non era chiamato a pronunciarsi personalmente e individualmente su questioni che demarcavano il confine fra ciò che corrisponde a un ethos cristiano e un ethos neopagano.
La stessa presenza cioè nelle città occidentali di chiese, monasteri, scuole e ospedali confessionali, simboli sacri poteva contribuiva erroneamente a credere che il tessuto sociale fosse permeato non solo di cristianesimo come dato storico, ma perfino di cristianità come esperienza vissuta.
Immerso in questa dimensione costituita in gran parte di apparenze era più o meno inconsapevolmente trascurato l’unico dato in grado di rappresentare la situazione per quello che era realmente vale a dire l’ampia diffusione anche fra credenti di un ethos laicista.
Il cristiano viveva quindi questa contraddizione forse inconsapevolmente in una scissione di matrice schizoide derivata dalla contradditoria separazione fra percezione di sé come cristiano coerente e dall’ethos neopagano vissuto come esperienza quotidiana.
Nell’attuale epoca di secolarizzazione conclamata invece il cristiano del primo tipo cessa di credersi tale percependosi finalmente in modo autentico cioè un neopagano che vive immerso in un contesto sociale neopagano e che adotta un ethos neopagano.
Questo risultato allinea ciò che l’uomo realmente è con l’ambiente sociale in cui vive e con lo stile di vita che ha scelto.
Epoca pre secolarizzazione:
- ambiente visibile: cristiano
- auto percezione: cristiana
- Ethos effettivo: laicista
Esito: scissione fra pensiero e azione, inautenticità
Epoca secolarizzata:
- ambiente visibile: laicista
- auto percezione: laicista
- Ethos effettivo: laicista
Esito: coerenza fra pensiero e azione, autenticità.
Il nuovo assetto quindi pone fine alla scissione destabilizzante precedente e rende il credente pienamente integrato: ciò significa che pensiero, verbalizzazione dello stesso, azione sociale, gesti quotidiani sono conseguenti gli uni agli altri in modo logico fondando i presupposti di un’autentica auto conoscenza.
Questa dinamica che risana la condizione patologica precedente, si inscrive nel solco della verità come autenticità dove per autenticità si intende la conformità alla propria natura.
Il fatto che questa nuova condizione stabilita nell’autenticità costringa il credente a una visione sgradevole di se stesso perché lo rende consapevole di essere molto meno virtuoso di quanto immaginava non inficia l’effetto positivo della nuova configurazione, ma anzi ne costituisce il presupposto indispensabile.
In realtà l’autenticità non corrisponde alla verità, essendo la prima un dato antropologico, la seconda un dato metafisico. Nel nuovo assetto il cattolico del primo tipo si percepisce autenticamente come neopagano, ma proprio per questo sa di essere lontano dalla verità rivelata dalla religione cui credeva di aderire.
Resta una sorta di nostalgia che scaturisce dallo iato che separa ciò che si è da ciò che si vorrebbe essere: paradossalmente proprio dimorando nell’autenticità ossia nella fedeltà alla propria natura umana decaduta ci si discosta dalla verità ossia il modello ideale del Vangelo.
Ciò che è antropologicamente autentico risulta metafisicamente insufficiente, ciò che stabilisce nella propria autentica dimensione umana evidenzia il grado di separazione dalla verità.
Soprattutto i cristiani del primo tipo che vivono un ethos neopagano non partono più ora da una condizione di falsa coscienza, ma di autenticità: pro-vocati a scegliere secondo un aut – aut chiaro su questioni in cui la posizione della chiesa è molto netta, così netta da tracciare un discrimine fra ciò che è cristiano e ciò che non lo è, finalmente sanno ciò che sono e sono sempre stati pervenendo così alla verità circa la propria autentica natura.
Autenticità come condizione preliminare per decidere lucidamente cosa fare di sé stessi e condizioni basica la quale sola può garantire l’esercizio della libertà tramite delle libere scelte.
di Marco Sambruna
fonte: http://www.campariedemaistre.com/2017/09/la-chiesa-o-divide-o-diventa-apparato.html
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