Di Si Griffiths - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24422807 |
La leggenda di Giacomo Agostini, il più grande motovelocista di tutti i tempi, inizia nel 1960, quando 18enne partecipa ad una gara di regolarità provinciale a Sant’Omobono Imagna. Ma è nelle gare in salita che arrivano i primi successi, nel ’63. "Mino" è dapprima secondo nella Trento-Bondone e quindi si impone nella Bologna-San Luca. Sarà la prima di una serie infinita di affermazioni. Alla fine della stagione il titolo italiano della montagna è suo, ha sbaragliato la concorrenza inanellando otto vittorie e due secondi. E non è tutto, anche il campionato di velocità juniores classe 175 lo vede primattore. La scelta di fare il corridore comincia a dare i suoi frutti. Il padre Aurelio, messo comunale a Lovere e proprietario di una torbiera, lo voleva ragioniere ma non ostacola l’irresistibile passione del suo Giacomino, il primo di tre maschi, e ben presto diventa il suo primo sostenitore. Anche la zia Agnese è con lui. La prima moto di Agostini è un Aquilotto Bianchi, poi arriverà un Paperino col quale prende parte alle prime gincane, quindi un Morini "Rebello". Alla fine della stagione ’63 c’è già l’occasione di respiro internazionale. E’ il Gp delle Nazioni a Monza dove la punta della Morini, Tarquinio Provini, è in lotta per il titolo della classe 250 col rhodesiano della Honda Jim Redman. La Morini tenta il gioco di squadra schierando il 21enne del Moto Club Bergamo e lui, per nulla intimorito, si porta in testa. Conduce per due giri ma è poi tradito dalla rottura di un bullone che fissa il tubo di scarico alla pedana. Nel ’64 Provini passa alla Benelli e Agostini diventa la prima guida Morini. Ripaga la fiducia vincendo il titolo tricolore della 250 con sei successi in sette prove. La monocilindrica bolognese va forte ma non è all’altezza delle pluricilindriche della concorrenza. Così, la stagione successiva, introdotto da Carlo Ubbiali, "Mino" entra alla MV Agusta, sarà un connubio lungo e molto proficuo. Diventa compagno di squadra del grande Mike Hailwood, il conte Domenico Agusta - consapevole di avere due galli nello stesso pollaio - affida la 350 al loverese e la 500 all’inglese. Sul circuito tedesco del Nurburgring matura la prima affermazione iridata, felice conclusione di un week end movimentato che lo ha visto realizzare un tempo mediocre, rompere il motore e i suoi meccanici passare la notte in bianco per ripararlo. Nelle gare successive lotta per il titolo contro Redman ma gli sfugge, complice un banale guasto elettrico nell’ultima decisiva prova in Giappone. L’appuntamento col primo titolo mondiale è rinviato al 1966. Matura l’11 settembre a Monza, a pochi km da casa e dalla MV, nella classe 500, a farne le spese è proprio il suo ex compagno Hailwwod, nel frattempo passato alla Honda. Questi si presenta al via con 3 punti di vantaggio nel campionato, rinuncia alla corsa della 350 - dove ha già un vantaggio notevole - e si concentra nella mezzo litro. Non gli andrà bene. Davanti a 50 mila spettatori, tantissimi dei quali bergamaschi con gli striscioni più variopinti, Agostini - reduce dalla vittoria nella 350, dove ha doppiato tutti, compresi Renzo Pasolini e Alberto Pagani - recupera un’infelice partenza, raggiunge Hailwwod e lo supera. Il 4 volte iridato non molla, realizza il giro più veloce a oltre 199 km di media ma poi soccombe, la sua Honda rompe il motore e deve rientrare ai box a piedi. Per Agostini è il trionfo, il secondo - l’altro inglese Williams - finirà a due giri, l’autodromo brianzolo si trasforma in una bolgia festosa. Sarà il primo titolo di quindici, un record imbattuto, forse imbattibile, anche perchè - ultimamente - è diventato pressochè impossibile riuscire ad essere competitivi in più classi. Nella 500 si ripetè ininterrottamente fino al ’72, quindi per sette anni, tra il ’68 ed il ’72 raddoppiò laureandosi anche nella classe 350, il binomio Agostini-MV Agusta divenne sinonimo di vittoria. Da campione in sella "Ago" diventa personaggio. Abile regista di se stesso si cala nella parte del simbolo del successo, diventa testimonial, si inventa attore, ambizioso e un po’ guascone si trova a suo agio tanto in officina che ospite negli studi televisivi, è un novello Re Mida che trasforma in oro tutto ciò che avvicina. E’ anche un bel ragazzo e pure nel ruolo di latin lover col casco è a proprio agio, nel momento culminante della carriera le ammiratrici arrivano a scrivergli 150-200 lettere a settimana. Ma si sa, quando si vince troppo, si può risultare antipatici. Secondo i suoi detrattori non ebbe veri rivali. "Ho battuto Hailwwod, Redman, Provini, Taveri, Bergamonti, Saarinen, Pasolini, Read, Sheene, Roberts, Lucchinelli, Ferrari. Ho vinto con la MV ma anche con la Yamaha" è la sua risposta, un po’ risentita. La sua carriera ebbe una svolta tra il ’72 ed il ’74, quando i rapporti con la Casa di Cascina Costa si incrinarono. A determinarlo dapprima l’arrivo del funanbolico finlandese Jarno Saarinen, che lo battè nel Gp di Nurburgring ’72 con la bicilindrica 350, poi, l’anno dopo, la sconfitta in campionato ad opera di un altro compagno di marca, l’inglese Phil Read. Non digerì, in particolare, che in alcuni Gp a lui fosse affidata la vecchia 430 derivata dalla 350 e al nuovo arrivato la nuova 500 4 cilindri. Dopo 13 anni era arrivato il momento di cambiare aria, di passare dai 4 ai 2 tempi. Ed ecco il clamoroso accordo con la Yamaha. Il passaggio non è indolore ma Agostini sa il fatto suo ed a Daytona, con una potente 750 provata pochissimo, batte l’astro nascente Kenny Roberts e poi si ripete nella 200 Miglia di Imola. Nella 350 fa suo il 14° iride nella stessa stagione, nella 500 ripete l’impresa l’anno successivo. E’ l’ultimo grande exploit, da quel momento inizia la discesa, culminata nel ’77 con la caduta al Mugello, in occasione di una prova tricolore. Sarà un segno del destino? Sta di fatto che Agostini lascia, a 35 anni. Del resto sugli infortuni ha sempre avuto un’idea ben precisa: "Devi stare molto attento ad evitarli, chi cade spesso non fa una gran carriera, anche quando ti riprendi i segni ti restano dentro, per prevenire ci vuole cautela con gli azzardi ma anche grande preparazione atletica". Tra il ’78 e l’80 ci prova con le monoposto, forse sogna di emulare Nuvolari, Varzi o Surtees. Corre in Formula 2 e nella Formula Aurora, la classe cadetta della F1, ma arriva solo qualche piazzamento. "Il passaggio alle quattro ruote fu un errore" saprà ammettere qualche tempo dopo. Saranno ancora le moto a fargli riassaporare il gusto del successo, in qualità di team manager, grazie alle vittorie dello statunitense Eddy Lawson nel mondiale 500 del 1985, del 1986 e del 1988. Sempre nell’88 cade anche il mito dello scapolo d’oro, a portarlo all’altare - a 46 anni - è una spagnola, l’affascinante Maria Ayso, di Jerez. E quando è arrivata la loro figlia non potevano che scegliere un nome: Vittoria.
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