Il braccio di ferro tra la Germania e la
Commissione europea sulla messa al
bando del motore endotermico si è
concluso con una piccola ma significativa concessione a Berlino. Gli altri Paesi
contrari al regolamento sulle emissioni
dei veicoli leggeri (Italia, Polonia, Bulgaria e Romania) restano con l’amaro in
bocca e la speranza che, con la revisione già programmata nel 2026, possano
aprirsi nuovi margini di manovra. Il regolamento, già approvato da Consiglio,
Parlamento e Commissione nella sua
attuale versione, era arrivato all’ultimo
step: l’adozione da parte del Consiglio, un
passaggio puramente formale. Solo a quel
momento, ai Paesi che tradizionalmente
avevano manifestato preoccupazione per
i suoi effetti (tra cui l’Italia) si è aggiunta la Germania, consentendo al fronte del
no di raggiungere una potenziale minoranza di blocco. L’oggetto del contendere
è la modalità con cui vengono valutate le
emissioni climalteranti rilasciate dai motori. Infatti, il regolamento stabilisce che
dal 2035 potranno essere immatricolate
solo auto che hanno zero emissioni allo
scarico.
Ciò significa, nei fatti, il bando al motore endotermico, che inevitabilmente rilascia CO2 nell’atmosfera. L’obiezione è che
misurare le emissioni solo allo scarico
non rende giustizia della reale impronta
ecologica del veicolo. Se il motore viene
alimentato con carburanti ecologici, allora la CO2 che finisce in atmosfera non
è aggiuntiva, perché da lì proviene. Dunque l’Italia e altri chiedono da tempo di
ammettere il motore tradizionale purché
utilizzi carburanti neutri dal punto di
vista climatico. Il compromesso accoglie
una richiesta tedesca, ma lascia gli altri a
bocca asciutta: in pratica, la Commissione si è impegnata a prevedere una specifica esenzione ma non per tutti i carburanti
eco-compatibili, bensì solo per i cosiddetti e-fuels, cioè quelli derivati dall’idrogeno verde (cioè prodotto a sua volta a partire da energia rinnovabile). Si tratta di una
apertura assai limitata, perché verosimilmente gli e-fuels non saranno disponibili
in grande quantità in tempi stretti e comunque hanno costi molto elevati.
Il tema, però, non riguarda l’eccezione
(gli e-fuels) ma la regola. Sebbene il requisito sia espresso in termini prestazionali, è evidente che Bruxelles ha deciso
che, in prospettiva, dovranno circolare
solo auto elettriche. Molti dicono che la
tecnologia elettrica è talmente superiore che si imporrà comunque: può essere
vero, ma allora che bisogno c’è di stabilire
un divieto? Cent’anni fa l’automobile non
ha rimpiazzato il calesse perché quest’ultimo è stato messo fuori legge, ma perché
si è dimostrata migliore dal punto di vista
dei consumatori. Il regolamento prevede
una verifica nel 2026, per essere certi di
non imporre un vincolo che poi l’industria materialmente non sarà in grado di
rispettare. È in questo che confidano i governi dei Paesi scettici, puntando anche
su un cambio di maggioranza alle elezioni europee dell’anno prossimo.
Ma, ancora una volta, mentre pragmaticamente questa è la strada da percorrere, la questione più ampia è relativa
all’approccio europeo ai temi ambientali: continuiamo a dire che l’obiettivo
è la riduzione delle emissioni ma poi, in
concreto, non si fa che cedere all’insana
idea della politica industriale (copyright
Franco Debenedetti) e a scegliere vincitori e perdenti. Delle due l’una: o il vincitore designato avrebbe vinto comunque,
e allora la policy è inutile; oppure avrebbe
faticato a imporsi (quanto meno nei tempi previsti) e allora è dannosa.
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