L'eutanasia è paura di morire

In Belgio si discute sulla possibilità di estendere l'eutanasia ai minori. In Italia Vincenzo Di Sarno, detenuto nel carcere di Poggioreale, a Napoli, con un tumore al midollo, si è appellato al Presidente della Repubblica Napolitano "perché oramai sono allo stremo delle forze sia fisiche che mentali... mi conceda la pena di morte".
Le discussioni sulla bioetica e sulla libera scelta di darsi la morte tornano ciclicamente. Ogni volta, accompagnate da mille dubbi. "Dietro le discussioni sull'eutanasia c'è sicuramente una grande paura di morire che è tipica della nostra società", ha spiegato a Cadoinpiedi.it Marina Sozzi, tanatologa, autore di Sia fatta la mia volontà (Chiarelettere, 2014).
DOMANDA: Qual è la sua opinione sul caso Di Sarno che è arrivato a chiedere la pena di morte pu di smettere di soffrire?
RISPOSTA: Direi che è un paradosso. Una persona che ha un tumore in fase avanzata non deve stare in carcere, punto. Il discorso del fine vita è in realtà molto complesso e molto delicato. Io non sono pregiudizialmente contraria all'eutanasia in casi estremi, controllati. Ma ritengo che abbia senso discutere di eutanasia in un paese diverso dal'Italia.
D: Perché non in Italia?
R: Perché qui il 50% della popolazione non sa cosa siano le cure palliative e non sa di averne diritto. E spaventa che buona parte degli italiani che oggi affermano di volere eutanasia non sappiano niente di queste cose.
D: Di chi è la colpa?
R: Sicuramente c'è una situazione di enorme ignoranza molto manipolata da mass media e politica, per cui non ci stiano affatto preoccupando di come si può morire meglio. Si deve poter finire la vita secondo la propria volontà, ma si fanno discorsi allucinanti sul tema.
D: Cosa ne pensa, invece, della discussione in corso in Belgio sulla possibilità di eutanasia per i minorenni?
R: La ritengo un'estensione molto pericolosa. Ma forse abbiamo anche troppa fiducia nel giudizio degli adulti. Non so se sono tanti gli ottantenni che hanno quella consapevolezza della vita di cui riteniamo i ragazzini sprovvisti. Viviamo in una società che non ammette il dipendere da altri nemmeno in situazioni estreme.
D: Secondo lei dietro l'eutanasia c'è l'accettazione della morte o la paura?
R: In una società occidentale in cui c'è molta poca cultura della morte l'eutanasia è pericolosa. Andrebbe benissimo se fossimo riusciti a fare i conti col fatto di essere mortali. Ma se noi ci ostiniamo a dare l'antibiotico alla 97enne con l'Alzheimer terminale a cui viene la polmonite forse non siamo pronti. L'eutanasia è la paura di morire, anche se nel fine vita ormai generalmente si soffre poco.
D: Ci sono situazioni diverse, però.
R: Certo, e infatti la capisco in caso di malattie non mortali ma estremamente invalidanti. Ma dovremmo capire che ci sono situazioni, nella vecchiaia avanzata soprattutto, in cui si ha diritto a smettere di vivere, e dovremmo rinunciare all'accanimento delle cure a tutti i costi. Per esempio io credo che il testamento biologico sia molto più importante dell'eutanasia.
D: Ma come si fa ad accettare la morte, il lutto?
R: Il lutto è un momento molto doloroso nella nostra società più che in altre che lo hanno accompagnato, mentre noi abbiamo tentato di espellerlo e non ha funzionato, non sappiamo come comportarci, e infatti ci sono molti più lutti cronici di quanti ce ne siano stati in passato.
D: Non c'è un modo per uscirne?
R: Si tratta comunque di un vissuto esistenziale. Ogni persona vive il suo, non può esistere un'unica strategia. Ci sono persone che hanno una grande capacità di affrontarlo e poi ci sono persone molto fragili che, oggi, non sono molto aiutate.
D: In che senso?
R: Non c'è nessun contenitore sociale che le accompagni. Se facciamo un raffronto con la società del diciannovesimo secolo, per esempio, la vedova in lutto aveva norme anche sociali: il non uscire di casa per un numero di giorni, il vestire di nero e così via. Tutto il processo era accompagnato. Certo, si tratta di norme tipiche delle società che hanno un forte controllo sociale, che nella nostra non esiste più: abbiamo maggiore libertà, ma anche maggiore solitudine.
D: Cosa funziona per noi allora?
R: Funzionano bene i gruppi di autoaiuto, che ovviamente seguono delle regole, hanno un facilitatore. Ma il confronto tra pari dà buoni risultati, come nel caso degli alcolisti.
D: Non c'è una forte resistenza ad ammettere di aver bisogno di aiuto?
R: Assolutamente sì, soprattutto nelle piccole realtà. La gente si preoccupa che i vicini, i conoscenti non ne vengano a sapere nulla. Abbiamo pudore, vergogna della nostra necessità di chiedere aiuto.

by Redazione Cadoinpiedi.it http://www.cadoinpiedi.it/2014/01/31/eutanasia.html#anchor

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