Edgar Allan Poe - Eleonora

Sub conservatione formae specificae salva anima.
Raimondo Lullo

Io discendo da una stirpe nota per vigore di fantasia e ardore di passione. Gli uomini mi hanno chiamato pazzo, ma ancora non è risolta la questione se la pazzia sia o meno l'intelligenza più elevata, se molto di ciò che v'è di splendido, se tutto ciò che è profondo non scaturisca da una malattia del pensiero, da umori della mente esaltata a spese del comune intelletto. Coloro che sognano ad occhi aperti sono consci di molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte. Nelle loro grigie visioni colgono frammenti d'eternità e destandosi fremono nell'intimo allo scoprire d'esser stati sulla soglia del gran segreto. A tratti, apprendono qualcosa della sapienza che ha per oggetto il bene, e qualcosa di più sulla pura conoscenza del male. Penetrano, benché senza timone o bussola, nel vasto oceano della «luce ineffabile» e una volta ancora, come gli avventurieri del geografo nubiano, «agressi sunt Mare Tenebrarum quid in eo esset exploraturi».
Diremo dunque che io sono pazzo. Ammetto, almeno, che nella mia esistenza mentale vi sono due condizioni distinte: una di ragione lucida, irrefutabile, e relativa alla memoria di eventi che formano la prima parte della mia vita, e una d'ombra e di dubbio che appartiene al presente e al ricordo di quella che costituisce la seconda grande epoca della mia esistenza. Perciò quanto dirò di quel primo periodo, credetelo; e a quel che potrò narrare del tempo successivo prestate solo quel credito che sembri dovuto; o dubitatene affatto; o ancora, se non saprete dubitarne, siate come Edipo di fronte al suo enigma.
La donna che amai in gioventù e della quale ora, calmo e perfettamente lucido, scrivo questi ricordi era l'unica figlia dell'unica sorella di mia madre, da tempo scomparsa. Eleonora era il nome di mia cugina. Avevamo sempre vissuto insieme, sotto un sole tropicale, nella Valle dell'Erba Multicolore. Mai passo straniero giunse a quella valle, poiché essa giaceva lontano, fra alture gigantesche che strapiombavano tutt'intorno, escludendo la luce del sole dai suoi più soavi recessi. Non v'era, nelle vicinanze, sentiero battuto e per raggiungere la nostra felice dimora bisognava scostare a forza il fogliame di mille e mille alberi d'antiche foreste e calpestare a morte la splendente bellezza di milioni di fiori fragranti. E così fu che vivemmo soli, senza nulla sapere del mondo oltre la valle: io, mio cugina e sua madre.
Dalle fosche contrade di là delle montagne che formavano l'estremo, più alto confine del nostro circoscritto dominio defluiva un fiume angusto e profondo, più luminoso d'ogni altra cosa tranne gli occhi di Eleonora; e serpeggiando lento in molti meandri, spariva infine attraverso una gola ombrosa tra colli ancor più foschi di quelli da cui era scaturito. Noi lo chiamavamo «Fiume del Silenzio», perché pareva che tutto nel suo fluire invitasse a una quiete senza suono. Non un murmure si levava dal suo letto, e così dolcemente vagava nel suo corso che i ciottoli perlacei che amavamo guardare, giù in fondo al suo seno, non si muovevan per nulla, ma giacevano in immoto contento, ciascuno al suo posto di sempre, rifulgendo perenni.
Il margine del fiume, e dei molti abbaglianti ruscelli che per vie oblique vi confluivano, come pure gli spazi che dai margini si stendevano alle acque più profonde fino al letto sassoso, erano, al pari dell'intera superficie della valle, dal fiume alle montagne che le facevano cerchio, rivestiti di un soffice tappeto di erba tenera e verde, fitta e perfettamente uniforme, olezzante di vaniglia, ma talmente costellata di gialli ranuncoli, candide margherite, violette purpuree e asfodeli rossi come rubini, che in alti accenti la sua sovrana bellezza parlava ai nostri cuori dell'amore e della gloria di Dio.
E qua e là, in boschi sparsi per le distese d'erba, come in vergini terre di sogno, si levavano alberi fantastici, i cui tronchi alti e slanciati non si ergevano diritti ma s'inchinavano con grazia verso la luce che a mezzogiorno s'affacciava sul centro della valle. La loro corteccia si variegava d'alterni balenii d'ebano e d'argento ed era più liscia d'ogni cosa tranne le guance di Eleonora; così che, non fosse stato per il verde brillante delle enormi foglie che dalle cime si spandevano in lunghe linee tremule, scherzando con gli zefiri, si sarebbe potuto scambiarli per giganteschi serpenti di Siria nell'atto di rendere omaggio al loro Sovrano, il Sole.
La mano nella mano, quindici anni vagai per questa valle con Eleonora, prima che amore entrasse nei nostri cuori. Fu una sera, al volgere del terzo lustro della sua vita, e quarto della mia, che sedemmo abbracciati sotto gli alberi serpentini, guardando nelle acque del Fiume del Silenzio le nostre immagini che vi si rispecchiavano. Per il resto di quella dolce giornata non dicemmo parola; e anche all'indomani le nostre parole furono tremule e rare. Avevamo tratto da quell'onda il dio Eros, e ora sentivamo che egli aveva acceso dentro di noi le anime di fuoco dei nostri antenati. Le passioni che da secoli segnavano la nostra stirpe si scatenarono in folla insieme alle estatiche visioni per le quali essa era stata del pari famosa, e assieme spirarono una delirante felicità sulla Valle dell'Erba Multicolore. Ogni cosa si trasmutò. Strani fiori brillanti a forma di stelle si schiusero a un tratto su alberi ove mai in passato s'era visto alcun fiore. Le tinte del tappeto erboso si caricarono d'un verde più intenso; e quando, ad una ad una, appassirono le candide margherite, sbocciarono al loro posto, a decine, gli asfodeli rossi come rubini. E sul nostro cammino si destava la vita; poiché il lungo fenicottero, mai veduto fino allora, con tutti gli uccelli dalle cangianti, vivide piume, spiegava davanti a noi lo scarlatto delle sue ali. Pesci d'oro e d'argento popolavano il fiume, dal cui seno saliva, in graduale crescendo, un murmure che si mutava infine in una melodia dolce-suadente, più divina dell'arpa eolia, più soave d'ogni altra voce tranne quella di Eleonora. E ora, inoltre, una gran nube che avevamo a lungo osservato nelle regioni d'Espero, s'alzò fluttuando in una gloria di cremisi e d 'oro, e sostando quieta sopra di noi, s'abbassò di giorno in giorno sempre di più, finché i suoi orli posarono, sulle vette dei monti, mutando la loro foschia in splendore e rinchiudendoci per sempre, forse, in una magica prigione di grandiosità e di gloria.
La leggiadria di Eleonora era quella dei serafini; ma ella era una fanciulla semplice e innocente come la breve vita che aveva trascorsa tra i fiori. Nessun artificio mascherava il fervore del sentimento che le animava il cuore, e con me esaminò i suoi più segreti recessi mentre vagavamo insieme per la Valle dell'Erba Multicolore, e discorrevamo dei grandi mutamenti che negli ultimi tempi vi erano sopravvenuti.
Finalmente, avendo un giorno parlato tra le lacrime dell'ultimo, triste mutamento che doveva colpire l'umanità, da allora in poi si soffermò unicamente su questo tema doloroso, intessendolo in tutte le nostre conversazioni, come nelle canzoni del bardo di Shiraz si notano, più volte ricorrenti in ogni suggestiva variazione di fraseggio, le stesse immagini.
Aveva visto che il dito della Morte era sul suo petto, che al pari della effimera ella era stata fatta perfetta nella sua leggiadria solo per morire; ma i terrori della tomba stavano per lei solo in una considerazione che mi rivelò, una sera al crepuscolo, presso le rive del Fiume del Silenzio. Si struggeva al pensiero che io, dopo averle dato sepoltura nella Valle dell'Erba Multicolore, ne abbandonassi per sempre i recessi felici e donassi l'amore che ora era così appassionatamente suo a una qualche fanciulla del quotidiano mondo di fuori. E io subito mi gettai ai piedi di Eleonora, e feci voto a lei e al Cielo che mai mi sarei legato in matrimonio a figlia alcuna della Terra, mai avrei tradito la sua cara memoria, o la memoria del devoto affetto di cui m'aveva fatto dono. E invocai il Re Sovrano dell'Universo a testimone della pia solennità del mio voto. E la maledizione che da Lui e da lei, santa nell'Eliso, invocai qualora fossi venuto meno a quella promessa comportava un castigo di così immenso orrore che non posso lasciarne qui testimonianza scritta. E gli occhi luminosi di Eleonora si fecero più luminosi alle mie parole; e sospirò come se un peso mortale le fosse levato dal petto; e tremò e pianse amaramente; ma accettò il voto (che altro era se non una bambina?), ed esso le rese dolce il letto di morte. E di lì a non molti giorni, prima di partirsene in pace, mi disse che a causa di quanto avevo fatto per confortare il suo spirito, in quello spirito avrebbe vegliato su di me dopo avermi lasciato e, se ciò le fosse stato concesso, visibilmente sarebbe tornata a me nelle veglie notturne; ma, se ciò non era in potere delle anime del Paradiso, mi avrebbe almeno dato frequenti segni della sua presenza, sospirando su me nei venti della sera o empiendo l'aria che respiravo dei profumi esalanti dagli incensieri degli angeli. E con queste parole sulle labbra, rese a Dio la sua vita innocente, ponendo fine alla prima epoca della mia vita.
Fin qui ho fedelmente narrato. Ma varcando la barriera che la morte della mia diletta forma nel sentiero del Tempo, e passando alla seconda epoca della mia esistenza, sento che un'ombra mi s'addensa nella mente e nutro qualche dubbio sulla completa attendibilità della mia testimonianza. Ma proseguiamo. Gli anni si trascinavano grevi, e ancora dimoravo nella Valle dell'Erba Multicolore; ma un secondo mutamento era sopravvenuto in tutte le cose. I fiori a forma di stelle si ritrassero entro i tronchi degli alberi e non ricomparvero più. Il verde del tappeto erboso si stinse; e ad uno ad uno gli asfodeli rossi come rubini appassirono e al loro posto spuntarono, a decine, viole simili ad occhi scuri, che si torcevano inquiete ed eran gravide di perpetue rugiade. E sul nostro cammino si spense la vita, poiché il lungo fenicottero non spiegò più davanti a noi lo scarlatto delle sue ali, ma triste s'involò dalla valle alle colline con tutti gli uccelli dalle cangianti, vivide piume che insieme a lui erano giunti. E i pesci d'oro e d'argento guizzarono giù per la gola che nella parte più bassa formava il confine del nostro dominio e non allietarono più il dolce fiume, e la melodia dolce-suadente, che era stata più soave dell'arpa eolia mossa dal vento e più divina d'ogni altra cosa tranne la voce di Eleonora, smorì a poco a poco in murmuri sempre più sommessi sinché infine il fiume non ritornò alla solennità del suo assoluto, originario silenzio. E poi, da ultimo, la gran nube si alzò e, abbandonando le vette dei monti all'antica foschia, ricadde nelle regioni d'Espero, e privò la Valle dell'Erba Multicolore di tutta la pompa dei suoi aurei molteplici splendori.
Eppure le promesse di Eleonora non furono dimenticate; poiché udivo il suono degli oscillanti incensieri degli angeli; e ondate di sacri profumi fluttuavano perenni sulla valle; e nelle ore solitarie, quando più greve mi batteva il cuore, i venti che mi lambivano la fronte giungevano a me carichi di sommessi sospiri; e mormorii indistinti spesso empivano l'aria notturna; e una volta - oh, ma solo una volta! - fui destato da un sonno come sonno di morte dal bacio di labbra spirituali.
Ma anche così il vuoto entro il mio cuore non riusciva a colmarsi. Anelavo all'amore che in passato l'aveva riempito fino a traboccarne. Infine la valle mi oppresse per il ricordo di Eleonora, e la lasciai per sempre per le vanità e i turbolenti trionfi del mondo.
Mi trovavo in una città straniera, dove tutto avrebbe potuto giovare a cancellare dalla memoria i dolci sogni così a lungo sognati nella Valle dell'Erba Multicolore. La pompa e il fasto di una corte maestosa e il folle clangore delle armi e la radiosa leggiadria delle donne stordivano e inebriavano la mia mente. Ma finora il mio animo aveva tenuto fede ai suoi voti, e nelle silenti ore notturne coglievo ancora i segni della presenza di Eleonora. D'un tratto, questi segni cessarono; e il mondo s'oscurò ai miei occhi, e rimasi sgomento ai pensieri brucianti che mi possedevano, alle terribili tentazioni che mi assalivano: poiché da una terra lontana, remota e sconosciuta, venne alla gaia corte del re che servivo una fanciulla alla cui bellezza tutto il mio cuore infedele subito cedette, ai cui piedi mi prostrai senza lotta, nella più ardente, nella più abietta schiavitù d'amore. E che cos'era infatti la mia passione per la giovinetta della valle in confronto al fervore, al delirio e all'esaltante estasi di adorazione con cui riversavo in lacrime tutta la mia anima ai piedi dell'eterea Ermengarda? Oh, luminosa era la serafica Ermengarda! e in questa certezza non v'era posto per nessun'altra. Oh, divina era l'angelica Ermengarda! e guardando nel profondo dei suoi occhi rammemoranti pensavo soltanto ad essi: e a lei.
Mi sposai; e non temetti la maledizione che avevo invocato; e la sua amarezza non mi fu inflitta. E una volta ancora, ma solo una volta nel silenzio notturno, mi giunsero attraverso la grata della mia finestra i sospiri sommessi che mi avevano abbandonato; e si modellarono in voce soave e familiare, che diceva:
«Dormi in pace! perché lo Spirito dell'Amore regna ed impera, e stringendo al tuo cuore appassionato colei che è Ermengarda, tu sei sciolto, per ragioni che ti saranno rivelate in Cielo, dai tuoi voti a Eleonora».

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