Destra, sinistra

A conclusione dell’esame dei singoli temi che caratterizzano la vita sociale, può essere interessante affrontare la questione della collocazione politica del libertarismo. Sulla base della tradizionale bipartizione destra/sinistra, in quale dei due fronti dovrebbe situarsi?






Secondo un senso comune, diffuso anche fra gli addetti ai lavori, il libertarismo sarebbe incoerente, risultando al tempo stesso un’istanza “di sinistra”, per la difesa da esso operata delle libertà civili e di costume e per la sua avversione alla guerra, e “di destra”, per la tutela intransigente della proprietà e del libero mercato, con i connessi esiti antiegalitari. «Se interpretato secondo le categorie della politica di tipo europeo, il libertario [...] potrebbe essere al tempo stesso un ultrà del conservatorismo e un esponente del progressismo più estremo». Una dottrina politica che coniuga la libertà di drogarsi e la difesa rigorosa dei diritti di proprietà, sottraendosi ai cliché teorici dominanti, è considerata una bizzarria.

A queste osservazioni i libertari replicano criticando alla radice la stessa premessa che ne è a fondamento, e cioè contestando il valore esplicativo della coppia interpretativa destra/sinistra. Se l’analisi è condotta su un piano storico, l’eterogeneità culturale e dottrinaria delle varie “destre” e “sinistre” che hanno abitato gli ultimi due secoli di storia politica non consente l’individuazione di un criterio distintivo unico. Se l’analisi è condotta su un piano concettuale, e al tempo stesso limitata storicamente all’epoca contemporanea, la riduzione della dicotomia destra/sinistra a un solo criterio discriminante conduce a difficoltà logiche stringenti, come si vedrà fra breve.

Per chiarire il primo aspetto ci soffermeremo sull’etichetta di “destra” assegnata al laissez faire, in contrapposizione alle istanze interventiste, sovente identificate con le posizioni di sinistra, da quelle più estreme, come quella comunista, a quelle più moderate, di matrice socialista, socialdemocratica o liberalsocialista. Una simile rappresentazione delle divisioni teorico-politiche che hanno attraversato la storia moderna appare fortemente inadeguata. Il termine “destra”, nato poco prima della rivoluzione francese per indicare le posizioni tese a difendere la sovranità del re contro la sovranità popolare, nei suoi due secoli di storia ha identificato in gran parte opzioni culturali e politiche nettamente anti-mercato, incentrate sulla regolamentazione dell’economia, sulla difesa delle rendite dei ceti privilegiati, sulla corporativizzazione dei sistemi economici e sociali.

La destra delle origini, nella versione reazionaria di de Maistre, de Bonald e von Haller, è antiborghese, e avversa il capitalismo in quanto veicolo di stravolgimento delle gerarchie sociali. Contro la prospettiva giusnaturalistica e contrattualistica dell’‘89, i Muller, i Novalis, gli Schlegel, gli Schelling esaltano la nazione come una comunità organica fondata sulla tradizione. Gentz, nel commento alle Riflessioni sulla rivoluzione in Francia di Burke, e Muller, negli Elementi di arte politica (1804), avversano esplicitamente il liberismo smithiano. Burke, favorevole al libero scambio, viene impropriamente assimilato a questo filone di pensiero.

La destra che prende forma dopo il 1848 (tre nomi per identificarla rapidamente: Boulanger, Drumont, Wagner), non mette più in discussione i presupposti giuridico-istituzionali della modernità, ma mantiene la sua ostilità nei confronti della rivoluzione capitalistica, dell’industrialismo e dell’urbanesimo, cavalcando il disagio sociale in nome dei valori di ordine, tradizione e gerarchia.

Nell’ultimo decennio dell’Ottocento si afferma una destra che coltiva l’avversione alla modernità proprio in quanto portatrice del materialismo borghese, che dissolverebbe i rapporti personali naturali. Contro l’individualismo liberale si invoca la restaurazione del principio di autorità discendente dalla religione (Dio), dalla nazione (patria) e dalla famiglia.

Nell’Ottocento il partito Democratico americano sostiene il libero mercato in contrapposizione al “conservatore” partito Repubblicano.

La Rivoluzione conservatrice che si sviluppa nella Germania di Weimar (Junger, Heidegger, Schmitt), pur valorizzando la tecnologia, sottolinea le caratteristiche organiche (in senso antropologico) dei popoli, quanto di più distante dalle libere relazioni fra individui auspicate dal liberalismo di laissez faire.

Nel fascismo italiano, in cui operano pulsioni culturali diverse, gli esponenti di maggior rilievo sul piano teorico sono Rocco e Gentile: l’organicismo tradizionalista del primo e lo “Stato etico” del

secondo, in termini operativi si risolvono in un forte impulso dirigista. Il nazismo, pur essendo un movimento diverso dalla destra classica prussiana, in quanto attore di una forte democratizzazione sociale contro le gerarchie dell’aristocrazia, sul piano della politica economica opera attraverso una forte mobilitazione pubblica degli investimenti e un controllo statale a tratti pervasivo. Il maccartismo ebbe un forte sfondo antisemita e isolazionista.

È solo dal dopoguerra, e in prevalenza nel mondo anglosassone, che alcune forze politiche e movimenti conservatori hanno assunto in campo economico posizioni di libero mercato (il partito Repubblicano negli Stati Uniti, i tories di Margaret Thatcher in Gran Bretagna). Dunque, una lettura attenta della storia politica moderna non consente la collocazione tout court a destra delle istanze liberiste. Come si è cercato di illustrare brevemente sopra, tale identificazione è sul piano dottrinale assolutamente infondata. Anche limitando lo sguardo alle espressioni partitiche delle culture politiche, si può agevolmente rilevare che oggi gran parte della destra europea è connotata in senso fortemente “sociale” o statalista (il Partito Popolare in Spagna, i gollisti in Francia, Alleanza Nazionale in Italia). Mentre difendono posizioni pro-libero mercato il Libertarian Party negli Stati Uniti e i radicali in Italia, forze che solo a prezzo di una falsificazione storico-culturale possono essere collocate sul versante della destra tradizionalista.

Per quanto riguarda il secondo piano analitico, quello concettuale, gli studiosi che hanno cercato di ribadire il valore esplicativo del paradigma destra/sinistra hanno spesso ridotto la divisione sulla base di un unico concetto dirimente: ad esempio disuguaglianza/uguaglianza (sostanziale), o libero mercato/solidarietà, o inclusione/esclusione. Tuttavia questa linea interpretativa appare molto debole. Solo scontando una semplificazione intollerabile, al limite della falsificazione teorica, si può accogliere il carattere unidimensionale che tale operazione attribuisce ai soggetti politici dell’epoca contemporanea. Prendendo in considerazione il criterio dell’uguaglianza sostenuto da Bobbio, Ambrogio Santambrogio ha osservato: «È facile far vedere come siano esistite, e tuttora esistano, sinistre che sostengono diseguaglianze e destre che propugnano eguaglianze. D’altronde la nostra esperienza quotidiana è piena di diseguaglianze che appaiono giuste e di eguaglianze che appaiono ingiuste. Il problema sembra perciò non tanto riguardare il concetto di eguaglianza in quanto tale, ma il suo contenuto, intorno al quale le posizioni si dividono. La domanda essenziale è allora: eguaglianza di che cosa? [...] E, poiché abbiamo naturalmente decine e decine di risposte, corrispondenti alle varie destre e sinistre, ricadiamo in una molteplicità di contenuti eterogenei». H.-H. Hoppe invece accoglie la posizione sulle differenze fra gli esseri umani quale elemento di distinzione fra Destra e Sinistra: «la Destra riconosce, come realtà di fatto, l’esistenza di differenze e diversità fra gli individui e le accetta in quanto naturali, mentre la Sinistra nega l’esistenza di tali differenze o cerca di minimizzarle e in ogni caso le considera qualcosa di innaturale che deve essere rettificato per realizzare uno stato naturale di uguaglianza».

Anche la coppia interpretativa conservatori/progressisti, se usata come corrispettivo della polarità destra/sinistra, rischia di risultare o una classificazione dal contenuto descrittivo nullo o addirittura una mistificazione. Infatti i concetti di progresso e conservazione necessitano a loro volta di un ulteriore criterio di orientamento. Volendo ugualmente assumere quelle categorie, non è scontato che le forze collocate a sinistra abbiano realizzato politiche di “progresso” e quelle collocate a destra di conservazione. Un’analisi non preconcetta potrebbe concludere che, alla fine degli anni Settanta, Margareth Thatcher ha forse saputo intuire ed assecondare i nuovi bisogni di ampi strati della società molto meglio delle vecchie Trade Unions stataliste; e ha compreso le esigenze dei nuovi ceti sorti dalla terza rivoluzione tecnologica più acutamente del Labour Party, attraversato da vecchi riflessi ideologici. E, ancora, un esame non ideologico potrebbe approdare alla conclusione che Ronald Reagan, e non gli intellettuali liberal delle università dell’est americano, ha meglio interpretato il desiderio di autonomia individuale, denunciando le inefficienze e le distorsioni della spesa pubblica, e contribuendo a “liberare” le relazioni sociali dai cascami oppressivi delle vecchie politiche dirigiste. In tali contesti l’individuazione degli innovatori e dei conservatori potrebbe risultare più problematica di quanto comunemente si ritenga.

Una volta rifiutata questa dicotomia, e l’identificazione con ciascuna delle due categorie che la determinano, i libertari propongono una diversa contrapposizione, indipendente dalla diade

destra/sinistra. Tale contrapposizione è sintetizzata dalla coppia libertà individuale/collettivismo (o statalismo, o socialità coercitiva). Alla luce di questa antitesi, non fondata su etichette ma su un’opzione precisa, la posizione libertaria disvela una sua intima coerenza, facendo discendere dal principio di libertà tutte le sue implicazioni. La libertà è applicata a tutti i campi della vita sociale, compreso quello economico.

Ha scritto D. Bergland:

La gente spesso chiede: i libertari sono di sinistra o di destra? Liberal o conservatori? È un errore cercare di collocare i libertari nel tradizionale spettro “sinistra-destra” poiché esso non misura alcunché. Gli analisti politici e i commentatori appaiono sorprendentemente ciechi di fronte ai limiti di questo schema tradizionale. Etichette come “sinistra”, “destra” e “moderato”, così come le etichette dei partiti tradizionali, sono inutilizzabili per capire come ogni politico si collocherà su una data questione. [...] Il libertarismo non è una qualche variante della sinistra o del pensiero liberal, né una qualche variante della destra o del pensiero conservatore. Né una combinazione di sinistra e destra. [...] Non è inusuale per i liberal e i libertari assumere posizioni simili su certi temi riguardanti le libertà personali. E non è inusuale per i conservatori e i libertari essere dalla stessa parte su alcuni temi economici. Ma questa è più una coincidenza che una questione di principî. Tutte le posizioni libertarie sulle varie questioni derivano dai fondamentali principî libertari dell’autoproprietà e del rispetto per gli eguali diritti degli altri. Gli altri gruppi politici non hanno lo stesso approccio coerente e basato sui principî. Infatti, non puoi prevedere la posizione di ciascun Democratico, Repubblicano, liberal o conservatore su ogni questione in ogni momento. Essi non hanno un modo coerente di affrontare le varie questioni perché non hanno principî fondamentali. Il massimo che puoi fare è compilare una lista delle posizioni che essi assumono sui vari temi e controllare di tanto in tanto se vi sono cambiamenti.

Come è stato osservato, sono i libertari a poter chiedere conto alle altre famiglie politiche delle loro incoerenze. Ai conservatori, di destra, possono chiedere perché sono a favore della libertà in campo economico ma non in campo civile, e ai liberal, di sinistra, perché vogliono estendere le libertà civili ma comprimere quelle economiche. Il libertarismo è politicamente inafferrabile perché non può essere compreso con le logore categorie concettuali ancora oggi in uso. E infatti i libertari si sono spesso considerati politicamente degli homeless, trovandosi a disagio in ciascuno dei due schieramenti prevalenti nei sistemi politici contemporanei.

Per quanto riguarda i rapporti dei libertari con le destre, va rilevata la molteplicità di significati racchiusi nel termine “conservatorismo”. A volte esso è utilizzato per indicare quell’indirizzo culturale che considera la società composta non da individui, ma da gruppi naturali. Gli individui vengono visti solo in termini di identità sociali, inseparabili dal gruppo o dalla comunità di cui fanno parte. Questo conservatorismo “sociale” ritiene che il bene della singola comunità, destinataria principale delle azioni individuali e titolare essa stessa di diritti e, soprattutto, di doveri, debba essere assicurato tramite l’autorità, che di fatto stabilisce i canoni della moralità. Come si vede, quanto di più lontano dall’universo culturale libertario. Tuttavia esiste anche un conservatorismo liberista (free market conservatism), in cui, come ha osservato Samuel Brittan, rispetto al libertarismo, la responsabilità individuale è valorizzata più come strumento di disciplina che di libertà. Anche questo “neoconservatorismo” enfatizza la Virtù, ritenendo che, per mantenere l’ordine e la stabilità della società, siano necessari valori condivisi e tradizioni accettate, elementi di coesione che garantiscono un contesto favorevole allo sviluppo intellettuale e morale degli individui.

L’esistenza di un “ordine morale trascendentale” rivendicato dal conservatore Russell Kirk non è necessariamente negato dai libertari, è da essi respinta la sua imposizione attraverso lo Stato. Inoltre per Kirk l’ordine è anteriore alla libertà e alla giustizia, mentre per i libertari il rispetto della (auto)proprietà (e di conseguenza della vita e della libertà) è il fondamento dell’ordine. Un terzo elemento di distanza è la valutazione della natura dello Stato, un pericoloso oppressore per i libertari, un’entità necessaria al compimento della natura umana (dunque un’istituzione naturale) per Kirk.

Hayek ha evidenziato i limiti metodologici di tale impostazione: vi è «un compiacimento, caratteristico del conservatore, per l’azione dell’autorità costituita, e [una] sua prima

preoccupazione, che non è quella che il potere sia tenuto entro certi limiti, ma al contrario quella che l’autorità non sia indebolita. Questo atteggiamento si concilia difficilmente con la garanzia della libertà. In genere, si può affermare che il conservatore non si oppone alla coercizione o al potere arbitrario finché usati per scopi che considera giusti. […] La sua più grande speranza è quindi che governino i saggi e i buoni – non semplicemente con l’esempio, come tutti possiamo sperare, ma con il potere loro accordato e da essi esercitato. Come il socialista, egli si preoccupa meno del come limitare i poteri dello Stato che di chi ne ha il controllo e, come il socialista, egli si considera autorizzato a imporre agli altri quel che per lui ha valore».

Di fatto, fra paleoconservatori e libertari vi è convergenza nel sostegno a politiche antistataliste e decentralizzatrici e nell’avversione all’egualitarismo coercitivo. Quando la destra accentua i caratteri pro-libero mercato della sua azione, la prossimità con i libertari si fa più stretta. Negli Stati Uniti convergenze fra le due aree si manifestano a partire dagli anni Trenta del Novecento, quando libertari e liberalconservatori americani si uniscono nella cosiddetta Old Right, essendo i bersagli di entrambi il dirigismo statale inaugurato dal New Deal e l’interventismo in politica estera. Nel 1955 la rivista National Review, fondata da William F. Buckley, ambisce a unificare tradizionalismo, libertarismo minarchico e liberalismo classico, attraverso i contributi di esponenti quali Russell Kirk, Richard Weaver, Wilhelm Röpke, John Chamberlain, Frank Chodorov, Max Eastman e Frank Meyer. È quest’ultimo a definire i confini filosofici del cosiddetto fusionismo, il tentativo di integrare libertarismo e conservatorismo di matrice Old Right. Nel 1964, poi, il movimento libertario sostiene la campagna presidenziale del conservatore liberista Barry Goldwater. Va comunque tenuto presente che il conservatorismo individualista è notevolmente distante dal conservatorismo sociale e, ancor di più, dalla Destra Religiosa, anche quando queste componenti confluiscono in un unico contenitore politico-organizzativo.

All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso M. Rothbard e altri esponenti del pensiero libertario rilanciano gli ideali della Old Right. Sul piano politico-culturale la strategia è quella che Rothbard definisce “populismo di destra”: appello diretto al common man in funzione anti-establishment e antistale. H.-H. Hoppe, avendo distinto, come abbiamo visto, Destra e Sinistra in relazione alla posizione sulle differenze fra gli esseri umani, ritiene che il libertarismo da questo punto di vista sia decisamente di destra.

Per quanto riguarda i rapporti del libertarismo con la sinistra, non è vero, come comunemente si ritiene, che il dissenso riguardi solamente l’ambito economico; esso si estende anche a diversi temi sociali che incidono sulla libertà personale e ai cosiddetti diritti civili. Dal punto di vista libertario, il limite principale della cultura politica della sinistra, socialista e liberal, è costituito dall’idea che gli individui non sappiano quali siano i propri bisogni e i propri interessi, che essi siano dei minorenni bisognosi di una guida, in particolare di un’élite in grado di stabilire quali comportamenti siano emancipati e quali regressivi. Con l’intento di proteggere i soggetti (presunti) deboli, si persegue un atteggiamento interventista e regolamentativo della società civile, con effetti di compressione dell’autonomia e della libertà individuali. Ad esempio, si esprimono opzioni contrarie alla legalizzazione della prostituzione, o dell’ingegneria genetica, in base ad argomenti astratti quali la “mercificazione” del corpo, contro il principio di libertà secondo cui ognuno è padrone del proprio corpo e della propria vita. Si impongono stili di vita salutistici. Ci si oppone alla libertà personale di detenere armi. O di intraprendere relazioni con chi si desidera, attraverso la legislazione “antidiscriminazione”. Si limita la libertà di espressione sostenendo sanzioni penali per chi manifesta opinioni ‘politicamente scorrette’, discriminatorie, intolleranti o apologetiche di movimenti autoritari. Si realizzano controlli occhiuti sull’esposizione di simboli religiosi. Si riserva allo Stato il diritto di controllare l’adeguatezza dei genitori nell’educazione dei figli. Si sostengono i medici o i giudici quando impongono l’eutanasia anche contro il volere dei parenti e/o in assenza o in violazione del testamento biologico.

Lo Stato è considerato come l’unico possibile dispensatore della felicità collettiva, come un tutore, che deve sorvegliare i cittadini, limitandone di fatto la libertà. E le cose peggiorano quando a questa matrice culturale si sovrappongono elementi di puritanesimo di sinistra, come si è evidenziato a partire dagli anni Ottanta del Novecento.

Secondo questa mentalità la libertà non è soprattutto occasione di autorealizzazione individuale e di arricchimento, materiale e spirituale, ma è fonte di abusi, ingiustizie, crimini. L’innovazione è percepita come un pericolo più che come un’opportunità, da cui il sospetto che l’intellettualità liberal coltiva nei confronti della televisione (la “videocrazia”), di tutte le nuove forme di comunicazione mediale, della pubblicità (i “persuasori occulti”), del progresso tecnologico. Questo stato d’animo si accompagna a un atteggiamento moralistico. Il Moderno è affrontato spesso in una prospettiva apocalittica e denigratoria. Un commentatore di sinistra, Sandro Modeo, ha così descritto la “tecnofobia” della sinistra: «una difesa equivoca e bigotta della “natura” contro “la scienza e la tecnica” e dell’“umano” contro l’“artificiale”, che emerge [...] nelle valutazioni di bioetica (con gli allarmismi verso le tecnofecondazioni), nel trattamento delle psicopatologie (con l’opposizione irresponsabile alla farmacologia), nelle questioni biotecnologiche (con la lotta indiscriminata ai cibi transgenici, anche a quelli vantaggiosi) e su su fino al cinema, con la stigmatizzazione degli effetti speciali e del digitale in nome della “poesia”, come se non fosse possibile amare sia Ladri di biciclette sia Matrix».

L’ostilità nei confronti dei consumi (il “consumismo”), ha alla base il pregiudizio “francofortese” secondo cui i consumatori non sarebbero i migliori arbitri dei propri bisogni in quanto manipolati e suggestionati, e in base all’equivalenza fra vita virtuosa e vita austera (tanto da generare corrispondenze con il pensiero della destra conservatrice, anticapitalista e nostalgica della società preborghese). Sebbene il libertarismo, in quanto teoria politica, non caldeggi un particolare stile di vita rispetto a un altro, è comprensibile l’insofferenza espressa dal libertario Marco Faraci: «Chi non è libertario […] ci accusa spesso di volere trasformare il mondo in un supermercato. Sì. È vero. Noi libertari vogliamo trasformare il mondo in un supermercato. E ce ne vantiamo. Che cos’è in fondo un supermercato se non un luogo accogliente dove puoi trovare tutto quello che ti serve? Dove puoi scambiare il frutto del tuo lavoro con altre persone consenzienti, comprando quello che vuoi e pagando per quello che compri? […] Noi siamo edonisti, perché non ci piace fare voto di povertà come gli integerrimi coreani del nord. Noi siamo consumisti, perché crediamo in una società in cui sempre più persone possano accedere ai beni di consumo e sempre più persone possano trovare lavoro nella produzione di beni di consumo. Ma soprattutto noi siamo convinti che, di fronte all’arroganza di chi vuole cancellare asetticamente le disuguaglianze e le soggettività, il “consumista” assurga a un ruolo estremamente meritorio, quello di difensore di un diritto fondamentale dell’uomo: il diritto a perseguire il valore più soggettivo che esista, la propria felicità personale».

Gli insofferenti verso il consumatore sovrano hanno evidenziato l’insoddisfazione continua come spia e prova di una patologia. Sergio Ricossa ha osservato: «Si diceva che i consumi lasciavano insoddisfatti, ed era vero. L’uomo è quello che è perché non è mai soddisfatto. Se lo fosse, il progresso si fermerebbe sull’istante. Ma essere insoddisfatti è desiderare qualche cosa, che non si ha già, e che implica probabilmente altri consumi».

Le intemerate contro “il lusso” e i generi “voluttuari” evidenziano solo intolleranza per i gusti degli altri. D’altra parte, storicamente quasi tutti i beni oggi di massa - automobili, televisori, computer, telefoni - in passato hanno rappresentato un “lusso” per pochi. Seguendo la logica dei fustigatori dell’abbondanza, questi beni e servizi non sarebbero mai stati introdotti sul mercato.

Come si vede, anche il set di valori e convinzioni fatto proprio dalla sinistra è notevolmente distante dall’impianto culturale libertario.

Si aggiunga, infine, che la ipersemplificatoria classificazione destra = libertà economica e sinistra = libertà personale è ulteriormente confutata dalla circostanza che la separazione fra libertà economica e libertà personale in molti casi non è possibile: la libertà di vendere droga o servizi sessuali è anche una libertà economica, e la libertà di assumere o meno un lavoratore è anche una libertà personale.

In conclusione, occorre ribadire che il libertarismo rifiuta l’obbligo di collocazione nella diade destra/sinistra non perché ritenga, come oggi spesso si afferma invocando la “fine delle ideologie”, che non siano (più) possibili visioni alternative dell’uomo e della società (la compattezza e la coerenza della Weltanschauung libertaria dimostrano il contrario), ma perché quelle due etichette

non descrivono/rappresentano quella che i libertari considerano la contrapposizione fondamentale: autonomia individuale versus eterodirezione.

Per evidenziare la collocazione delle ideologie politiche, molti libertari hanno valorizzato la rappresentazione grafica proposta da William S. Maddox e Stuart A. Lilie all’inizio degli anni Ottanta, poi rielaborata da David Nolan, che consiste in un diagramma cartesiano a due dimensioni, che arricchisce il tradizionale spettro unidimensionale e consente una dislocazione basata sui contenuti e non su vuote etichette (figura 1). Sull’asse delle ordinate si possono misurare le libertà economiche e sull’asse delle ascisse le cosiddette libertà civili. L’unità di misura lungo gli assi potrebbe essere rappresentata dal punteggio assegnato alle risposte fornite sui singoli temi, con punteggio alto o basso a seconda che le risposte evidenzino una predisposizione o meno a prediligere la libertà economica e personale. Ciascun individuo, partito o teoria politica potrebbero essere posizionati, in base alle proprie convinzioni politico-culturali, in un punto del piano cartesiano che rappresenta una combinazione dei due blocchi tematici scelti.

Quanto più ci si allontana dall’origine degli assi tanto più le posizioni sono favorevoli rispettivamente alla libertà economica e alle libertà personali. I libertari si posizionerebbero nel punto più esterno del quadrante (punto A). I conservatori nel punto B (molta libertà economica, poche libertà civili); i liberal nel punto C; gli “autoritari” o populisti (comunitaristi, destra sociale, sinistra dispotica) nel punto D. La scelta di queste quattro posizioni può apparire sommaria, ma è puramente esemplificativa, e mira a cogliere le caratteristiche standard dei quattro principali poli politici. Il pregio del grafico è di consentire la collocazione di persone, partiti, filoni culturali dei diversi paesi nei vari punti del piano, individuando in maniera precisa il giusto mix valoriale, culturale e ideologico che essi esprimono.

Tuttavia altri libertari ritengono limitativo il modello perché attribuisce al libertarismo le libertà civili dei liberal, che spesso comportano l’integrazione forzata e l’egualitarismo giuridico coercitivo, e sono quindi molto diverse dalle libertà-proprietà del libertarismo più coerente.

P. Vernaglione, Il libertarismo applicato ai singoli temi - Destra,Sinista, in Rothbardiana, http://rothbard.altervista.org/temi-lib/destra-sinistra.doc

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