La seguente intervista è tratta dal periodico “Informationsblatt” edizione Agosto/Settembre 2017 della Fraternità Sacerdotale di S. Pietro e tradotta in italiano per il blog poggiosalamartano.blogspot.com da cui questo post è tratto integralmente.
“Fate della Liturgia il centro della vostra vita!”
Nella ricorrenza del Sacratissimo Sangue S.E. Raymond Leo Card. Burke ha consacrato sacerdoti sette diaconi della nostra confraternita, S. Pietro. La solenne cerimonia ha avuto luogo nella chiesa parrocchiale di Lindenberg, gremita di fedeli. Il nostro seminario si sente molto onorato dalla visita del Cardinale: abbiamo colto questa occasione per un'intervista.
Ci incontriamo con un uomo assai devoto, un canonista di fama mondiale e, non ultimo, un vescovo che da diversi anni, a varii livelli, si spende per la promozione della Liturgia della Tradizione.
Eminenza, com'era la vita cristiana negli Stati Uniti, ai tempi della sua infanzia?
Ora, io provengo da una zona di campagna profonda degli Stati Uniti, ma credo che ciò che vissi allora fosse assai tipico per le diverse regioni del paese. Il centro incontestabile della nostra vita di cattolici era la Messa domenicale. C'erano anche altre devozioni il venerdì sera, conoscevamo l'adorazione della Madre dei Dolori, la confessione al sabato e la preghiera in famiglia. In casa nostra compimmo l'Intronizzazione del Sacro Cuore di Gesù e pregavamo prima e dopo i pasti.
Ma c'era un'intera cultura cristiana nella nazione. Anche se gli Stati Uniti sono soprattutto una terra protestante, pur tuttavia venivamo sostenuti nella fede anche da quello che facevano altri cristiani. Pregavano e andavano in chiesa. Il cattolicesimo aveva un'identità molto precisa e poiché eravamo una minoranza, credo che ci preoccupassimo più del solito di praticarlo. Avevamo anche scuole cattoliche. Lavoravano molto in contatto coi genitori, per garantire l'educazione cattolica dei figli. Naturalmente, non era una società perfetta, ma aveva molti begli aspetti, per i quali sarò sempre grato.
In che modo poi questo cambiò?
Entrai in seminario nel 1962, a 14 anni. La cultura appena descritta era ancora assai viva e il piccolo seminario fu per me una bella esperienza. La sacra Liturgia rappresentava un punto chiave molto importante. Studiavamo la nostra Fede e ricevemmo un'istruzione classica. Poi però, alla metà degli anni '60 e marcatamente dopo il Concilio, si manifestò quella che alcuni hanno chiamato l'”ermenutica del sospetto” o “della rottura”: tutte le cose con cui eravamo cresciuti e che sapevamo essere molto belle, furono messe in dubbio. E così vidi, semplicemente, crollare tutto attorno a me.
La riforma del rito della Messa fu forse l'evento più incisivo. Fu privato di così tanti elementi. Siccome ero cresciuto come chierichetto, ero assai sensibile alle varie parti della Messa e vedere tutto sparire così, da un giorno all'altro... Fu un ribaltamento radicale, particolarmente grave riguardo alla fede nell'Eucaristia. Si poteva vedere già solo dalla trascuratezza con cui le persone andavano alla comunione, che la gente aveva perso la fede nella S. Eucaristia. Inoltre fu abbandonata la confessione regolare, il che pure indebolì la nostra fede nell'Eucaristia.
Tutto ciò accadde, di fatto, nell'arco di pochissimi anni e fu devastante.
Una volta affermaste che la vostra generazione ha considerato una buona pratica di fede come troppo scontata.
Avevamo tutta questa ricchezza della vita cattolica, che ci era stata donata in abbondanza. Semplicemente, c'era. Non ci si doveva sforzare per essa e credo che abbiamo dato tutto questo troppo per scontato e troppo poco stimato. Ora vedo la generazione più giovane: ha fame di tutti questi aspetti della nostra Fede, lo si nota anche dall'interesse enorme per la forma straordinaria del Rito Romano. Ha fame di quella ricchezza, che noi da giovani abbiamo conosciuto e non preservato. Per questo la mia generazione dovrebbe più che mai comprendere questi giovani e quello che cercano.
Ho un grande problema col fatto che alcuni della mia generazione si oppongono alla restaurazione della pietà della forma della Messa e degli altri riti sacri.
Siete mai entrato in contatto col Movimento Liturgico? Come lo giudicate oggi?
C'era un entusiasmo, del quale però bisogna dire questo: mi pare che molte pratiche furono introdotte nei seminarii per giustificare cose che secondo me andavano al di là delle idee dei fondatori del Movimento Liturgico e che dunque essi non si erano prefissi. Con questo non voglio dire che sia infondata l'ipotesi, che forse in tutto questo movimento ci fosse qualcosa di sbagliato. Però mi ricordo di Msgr. Martin Hellriegel dell'arcidiocesi di St. Louis e di un vescovo, entrambi assai coinvolti nel movimento liturgico: già agli inizii degli anni '70 erano completamente disillusi da quel che succedeva. Credo che almeno alcuni si accorsero che le riforme del rito sacro non erano fedeli alla tradizione, sebbene approvate dalla S. Sede. In sostanza: allora ne sentimmo parlare, ma io ero un ragazzino e non ne sapevo molto. Eravamo entusiasti perché amavamo la Liturgia e tutto quello che la favoriva sembrava buono.
Pareva assai bello, ci entusiasmava, ma all'improvviso ci rendemmo conto che aveva portato frutti cattivi.
Lo notaste già allora?
Sì, già allora.
Perché il cattolicesimo tradizionale divenne così debole negli anni '60?
Ci ho riflettuto molto spesso e mi pare, anche se non ho mai studiato compiutamente la questione, che già sotto Pio XII ci fossero movimenti e cose simili, riguardo alla Liturgia, che avevano verso di essa un approccio riduzionistico. Devo anche presumere che nei seminarii e altrove ci fu un indebolimento dell'istruzione sacerdotale, che rese i seminaristi inclini aigli abusi del periodo postconciliare.
Una cose che notai è che i sacerdoti, fino al Concilio, erano molto rigidi riguardo alla Liturgia. Mi ricordo che una volta, da chierichetto, sfiorai il calice durante la purificazione: dopo la Messa il prete mi fece una lavata di capo, che ero stato disattento e che il calice è un vaso sacro, che contiene il Sangue di Cristo, il che naturalmente è vero. Me la presi parecchio a cuore. A questi stessi preti, in precedenza cresciuti in maniera così severa riguardo a queste cose, dissero, dopo il Concilio, che tutto ciò era cambiato. Adesso si poteva usare come calice un bicchiere di vetro o un recipiente di ceramica e alcuni si misero a cuocere il pane eucaristico da soli: per la precisione, non limitandosi a usare solo acqua e farina.
Questi sacerdoti, prima così rigidi [in un senso], divennero rigidi nell'altro, rigidi in rapporto a tutte le innovazioni.Così, se uno voleva fare le cose secondo le prescrizioni, veniva punito o corretto.
Devo ritenere che qualcosa sia andato storto. Forse nei seminarii penetrò in parte il lato non sano del movimento liturgico, così che, in un certo qual modo, i sacerdoti già erano stati male indirizzati rispetto a queste cose.
Può darsi che allora la Messa Tradizionale fosse compresa in senso troppo legalistico?
Sì, devo far notare questo: mi piacciono molto la forma e l'articolazione della Messa Tradizionale, però è vero che, prima della riforma conciliare, alcuni preti non sempre celebrassero in maniera edificante. Si aveva furia. Il latino era a tutti gli effetti inintelligibile, e cose di questo genere. Non dico che questo fosse vero in generale, ma in alcuni casi sì, ed è vero: quando la forma straordinaria, come oggi la chiamiamo, l'usus antiquior, non viene celebrata con reverenza, diventa anch'essa un segno di senso contrario.
Vi siete specializzato in diritto canonico. Diritto canonico e teologia si sono talora allontanati l'uno dall'altra, nel loro sviluppo. Come vedete il loro rapporto?
Non v'è dubbio che nei primi secoli della Chiesa e senz'altro nel medio evo, il diritto canonico fosse una parte della teologia. A un certo punto fu insegnato assieme alla teologia morale e alla liturgia. Tutto questo veniva inteso come un'unica realtà. Poi si sviluppò l'idea delle specializzazioni e il diritto canonico fu separato dalle altre discipline. Da qui è sorto il concetto che si tratti solo di un sistema di norme. Naturalmente lo è, ma si tratta di norme volte a custodire le sante realtà insite nella Chiesa. Detto in altre parole, il senso e il fine di ogni canone e del codice è un determinato aspetto della nostra vita in Cristo e nella Chiesa. Questo purtroppo è andato perduto con la separazione delle discipline. Ci furono però lo stesso grandi canonisti, ancora nel XIX e agli inizii del secolo XX, come il Card. Piero Gasparri o P. Felice Cappello SJ. I commenti da loro redatti mostrano come per esempio un certo canone, in rapporto all'Eucaristia, serva a proteggere la verità su di essa, la sua stessa realtà. La codificazione del diritto ecclesiastico ha avuto di buono il poterlo trovare tutto in un unico tomo. L'aspetto negativo è stato però la separazione delle norme dal loro contesto (lettere pastorali dei concilii, direttive di vescovi), nel quale il fondamento teologico della norma stessa appare con chiarezza. I canonisti devono, oggi più che mai, studiare la storia del diritto e indagare le fonti. Altrimenti il diritto rischia di diventare un formalismo separato dalla teologia.
Oggigiorno il diritto è inteso come un obbligo esterno e posto in opposizione alla carità.
Il diritto garantisce il minimo [essenziale] di una vita cristiana. Non contiene tutta la bellezza della vita della Chiesa nella sua pienezza, ma ne garantisce le fondamenta. I precetti ecclesiastici costituiscono quel minimo che ci indirizza verso una più profonda vita cattolica.
Come può riuscire il rinnovamento teologico?
Credo che il rinnovamento teologico possa avere fortuna se si ritorna all'interpretazione della Scrittura nella Chiesa (cioè nella fedeltà alla Tradizione e al Magistero – n.d.t.), perché la teologia ha la sua radice nella Parola di Dio. Dobbiamo però superare gli aspetti negativi del metodo storico-critico e ricominciare a leggere le Scritture come un tempo: sempre nel contesto dei Misteri della Passione di Cristo, della sua Resurrezione ed Ascensione al Cielo e dell'invio dello Spirito alla Chiesa. Per questo l'accento deve essere posto sullo studio della Patristica. Il Concilio lo fece, ma non ne sento più parlare da nessuno. Infine bisogna che l'attenzione sia rivolta ad autori riconosciuti, che attraverso i secoli si sono dimostrati ligi al Magistero e che ne favoriscono la comprensione e l'approfondimento. Penso ad esempio a S. Tommaso d'Aquino.
Papa Benedetto XVI stabilì dieci anni fa, nel suo Motu Proprio Summorum Pontificum, che la Messa Tradizionale non è mai stata abrogata. Qual è la vostra opinione, come canonista?
Mi interessò parecchio, quando il Papa lo disse. Non ci avevo mai pensato. Al tempo della riforma liturgica ci avevano trasmesso l'impressione che il vecchio Messale non venisse più usato. Poi però, nel corso degli anni, capii che in parecchi luoghi lo era ancora. Ad esempio conosciamo il caso di Fontgombault e ci fu la famosa “dispensa di Agatha Christie” per i cattolici inglesi. È poi un fatto, che non c'era motivo per un'abrogazione. Per questo ritengo che il Papa abbia ragione dal punto di vista canonico. Non ho sono riuscito a studiare la questione compiutamente, ma spero un giorno di poterlo fare, perché ci sono ancora certi che affermano che quel Messale sia stato abrogato.
Di certo questa non fu l'intenzione del prefetto della Congregazione per il Culto Divino di allora.
Conosco un'abate benedettino, il quale mi riferì che dissero al prefetto che la nuova forma della Messa fosse un'espressione non conveniente della vita del loro ordine, ed egli rispose: “Continuate a celebrare la Messa come avete sempre fatto.”
Anche da un altro punto di vista: se si considera che l'impianto di base della Messa è rimasto sostanzialmente invariato dai tempi di Gregorio Magno... come si può dire, che questo sia oggi vietato? Non mi è chiaro per niente.
Come spieghereste ai fedeli che Papa Benedetto XVI parli di “due forme dell'unico Rito Romano”?
Questa affermazione va compresa, ritengo, nel senso della Tradizione. La nostra vita di preghiera nella Chiesa, come ci è stata tramandata dall'Epoca Apostolica, rappresenta una tradizione che è organica, la nostra vita nella Chiesa è organica: viviamo le stesse Realtà, la stessa vita nella Chiesa, che sempre furono vissute, da quando Nostro Signore esercitò il suo ministero pubblico e instaurò l'Eucaristia nell'Ultima Cena. Per questo capiamo come la Chiesa abbia potuto avere, per circa 1500 anni o più, una determinata forma nella quale celebrare l'Eucaristia. Poi, dopo il Concilio Vaticano II, ci fu la così detta riforma der rito della Messa.
Però credo che dobbiamo essere molto onesti e dire che tale riforma, così come fu condotta, non fu fedele a ciò che gli stessi padri conciliari affermarono nel loro documento.
In altre parole ci fu quella che Papa Bendetto ha chiamato “ermeneutica della discontinuità”. L'unica strada per una riforma, nella Chiesa, consiste nella continuità, precisamente nella stima della Tradizione e in una grande fedeltà ad essa. Invece avemmo questo movimento che credette di dover abbandonare il Rito così come ci era giunto fino al tempo del Concilio e di doverne elaborare uno nuovo, che non ha alcuna relazione con la forma della Messa usata in precedenza. Questo non può essere davvero!
Mi ricordo di un relatore, quando ero Arcivescovo di St. Louis, un esperto di liturgia. Dopo la sua lezione un giovane sacerdote disse che cercava di insegnare ai fedeli il gregoriano e alcuni dei vecchi gesti. Il relatore chiese: “Perché lo fate?” Il sacerdote rispose che voleva provare ad aiutare i fedeli a vedere la continuità fra la vecchia e la nuova forma del Rito Romano. Allora il sacerdote relatore iniziò a urlare: “Non c'è alcuna relazione, non c'è alcuna continuità fra le due!” Ovviamente mi arrabbiai parecchio e alla fine lo chiamai a rapporto.
Credo che questo [episodio] rifletta una ben preciso atteggiamento che Papa Benedetto descrisse alla Curia Romana nel discorso di Natale del 2005. Ritengo che adesso dobbiamo guardare alla forma straordinaria del Rito Romano con grande amore e considerazione e cercare di capire come quella ordinaria le possa stare in un rapporto di continuità. A mio parere ciò renderà necessaria una “riforma della riforma”, come è già stato notato.
Per adesso però è essenziale che entrambe le forme siano celebrate liberamente, per non perdere il contatto vivo con quella straordinaria. Sono molto grato a Papa Benedetto e lo ammiro per questo dono di una celebrazione allargata a entrambe le forme. Infine vorrei sottolineare che l'espressione “straordinaria” viene intesa da alcuni in senso sbagliato. Si veicola l'impressione che questa forma debba essere [considerata] insolita o rara, sebbene significhi che essa è consueta e normale.
In che cosa constiste secondo voi il significato più importante della forma extraordinaria?
Essa rappresenta il contatto più vivo col rito della Messa che dalla Chiesa delle origini è giunto fino a noi. Possiamo fantasticare quanto vogliamo su come la Chiesa celebrasse la Santa Messa nei primi secoli, ma questa è la forma viva del rito della Messa e non deve andare perduta. La dobbiamo coltivare ed onorare, come disse Papa Benedetto.
Cosa rispondereste a coloro i quali aaccusano di infedeltà al Concilio Vaticano II, l'essere legati alla forma extraordinaria?
Questa affermazione non sta in piedi, già solo perché, se dicessimo che la Messa Tradizionale non è fedele al Vaticano II, allora affermeremmo in qualche modo che l'ultimo Concilio sia stato infedele alla Tradizione. Ciò non può essere.
Ho studiato la Sacrosanctum Concilium e non ritengo di averci trovato il permesso di mutilare il Rito fino a questo punto o di compiere con esso esperimenti. La debolezza di tale Costituzione conciliare risiede, secondo me, in questo: che per esempio vengono compiute affermazioni molto forti, circa l'uso del latino e del canto gregoriano e poi viene un terzo o quarto punto, dove si dice: “però possono essere introdotte altre lingue e [altri tipi di] musica”. Dopo il Concilio questo terzo punto divenne la regola, mentre doveva rappresentare una specie di eccezione.
Quali sfide vedete oggi per la Chiesa e le familie cristiane?
Credo che consistano soprattutto nell'educazione: nell'educazione cattolica e nella catechesi. In secondo luogo la sacra Liturgia deve essere posta nuovamente al centro della vita cristiana.
Inoltre la sacra Liturgia deve diventare per davvero la lex orandi, che è la lex credendi. Se si affronteranno queste due grandi sfide, allora sia le famiglie che i singoli saranno preparati a contrastare la terribile secolarizzazione nella cultura attorno a noi.
Il mondo non fu mai così confuso e autodistruttivo come oggi. Esso ha bisogno più che mai di una Chiesa salda nell'insegnare la Fede e salda nella sua vita liturgica.
Come incoraggereste oggigiorno i giovani seminaristi e anche i sacerdoti?
Secondo me l'incoraggiamento deve provenire, prima di ogni altra cosa, dalla loro propria relazione personale con Nostro Signore Gesù Cristo, che li ha attirati al sacerdozio. Devono comprendere che se il Signore li chiama, allora li accompagnerà lungo il loro cammino di risposta alla Vocazione e si prenderà cura di essi.
Non devono lasciare alcun spazio allo scoraggiamento, altrimenti non potranno rispondere alla Chiamata di Nostro Signore. Capisco che ciò sia difficile. Però insisto sempre su tre cose, per rafforzare i seminaristi nella speranza: studiate il Catechismo, la bellezza della Fede; fate della sacra Liturgia il centro della vostra vita e, terzo, stabilite un rapporto fraterno con altri giovani uomini che condividono lo stesso sentimento per la Chiamata di Cristo nella loro vita. Il grosso problema di oggi è che coloro i quali provano a condurre una vita autenticamente cattolica o vogliono seguire la Vocazione, sono isolati. Avere uno rapporto di scambio ci aiuta a rimanere saldi, anche se veniamo irrisi.
Ringraziamo Sua Eminenza per questa intervista.
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