Automobili, l’eccezione e la regola della politica industriale europea

articolo di Carlo Stagnaro uscito il 4 aprile 2023 su L'Opinione delle libertà

Il braccio di ferro tra la Germania e la Commissione europea sulla messa al bando del motore endotermico si è concluso con una piccola ma significativa concessione a Berlino. Gli altri Paesi contrari al regolamento sulle emissioni dei veicoli leggeri (Italia, Polonia, Bulgaria e Romania) restano con l’amaro in bocca e la speranza che, con la revisione già programmata nel 2026, possano aprirsi nuovi margini di manovra. Il regolamento, già approvato da Consiglio, Parlamento e Commissione nella sua attuale versione, era arrivato all’ultimo step: l’adozione da parte del Consiglio, un passaggio puramente formale. Solo a quel momento, ai Paesi che tradizionalmente avevano manifestato preoccupazione per i suoi effetti (tra cui l’Italia) si è aggiunta la Germania, consentendo al fronte del no di raggiungere una potenziale minoranza di blocco. L’oggetto del contendere è la modalità con cui vengono valutate le emissioni climalteranti rilasciate dai motori. Infatti, il regolamento stabilisce che dal 2035 potranno essere immatricolate solo auto che hanno zero emissioni allo scarico. Ciò significa, nei fatti, il bando al motore endotermico, che inevitabilmente rilascia CO2 nell’atmosfera. L’obiezione è che misurare le emissioni solo allo scarico non rende giustizia della reale impronta ecologica del veicolo. Se il motore viene alimentato con carburanti ecologici, allora la CO2 che finisce in atmosfera non è aggiuntiva, perché da lì proviene. Dunque l’Italia e altri chiedono da tempo di ammettere il motore tradizionale purché utilizzi carburanti neutri dal punto di vista climatico. Il compromesso accoglie una richiesta tedesca, ma lascia gli altri a bocca asciutta: in pratica, la Commissione si è impegnata a prevedere una specifica esenzione ma non per tutti i carburanti eco-compatibili, bensì solo per i cosiddetti e-fuels, cioè quelli derivati dall’idrogeno verde (cioè prodotto a sua volta a partire da energia rinnovabile). Si tratta di una apertura assai limitata, perché verosimilmente gli e-fuels non saranno disponibili in grande quantità in tempi stretti e comunque hanno costi molto elevati. Il tema, però, non riguarda l’eccezione (gli e-fuels) ma la regola. Sebbene il requisito sia espresso in termini prestazionali, è evidente che Bruxelles ha deciso che, in prospettiva, dovranno circolare solo auto elettriche. Molti dicono che la tecnologia elettrica è talmente superiore che si imporrà comunque: può essere vero, ma allora che bisogno c’è di stabilire un divieto? Cent’anni fa l’automobile non ha rimpiazzato il calesse perché quest’ultimo è stato messo fuori legge, ma perché si è dimostrata migliore dal punto di vista dei consumatori. Il regolamento prevede una verifica nel 2026, per essere certi di non imporre un vincolo che poi l’industria materialmente non sarà in grado di rispettare. È in questo che confidano i governi dei Paesi scettici, puntando anche su un cambio di maggioranza alle elezioni europee dell’anno prossimo. Ma, ancora una volta, mentre pragmaticamente questa è la strada da percorrere, la questione più ampia è relativa all’approccio europeo ai temi ambientali: continuiamo a dire che l’obiettivo è la riduzione delle emissioni ma poi, in concreto, non si fa che cedere all’insana idea della politica industriale (copyright Franco Debenedetti) e a scegliere vincitori e perdenti. Delle due l’una: o il vincitore designato avrebbe vinto comunque, e allora la policy è inutile; oppure avrebbe faticato a imporsi (quanto meno nei tempi previsti) e allora è dannosa.

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