Come lo Stato distrugge la cooperazione sociale

Molti dei nostri attuali problemi economici, per i quali i politici non sanno far altro che addossare la colpa alla "troppa libertà" e ai mercati in genere, si configurano in realtà come gli effetti di lungo periodo di politiche interventiste volte ad enfatizzare esclusivamente l'oggi rispetto al domani, quello che si vede in luogo di  ciò che non si vede, per via dei costi nascosti o differiti nel tempo. In particolare, le nostre sventure economiche rifletterebbero l'incrollabile assegnamento che il governo fa sulla coercizione, le cui esiziali conseguenze si dispiegano nel tempo,  contrastando  il processo di cooperazione volontaria, passibile di produrre benefici duraturi e costanti.
La cooperazione volontaria che ha luogo nel mercato tende ad espandersi semplicemente perché, quanto più i venditori devono far fronte a un aumento della domanda, tanto più sono incentivati a servire al meglio gli acquirenti, offrendo loro prodotti rinnovati. Parimenti, quanto più gli acquirenti devono far seguito ad un aumento dell'offerta, tanto più vengono scoperti i migliori impieghi per le risorse scarse. Cioè a dire, quando si forniscono a dei soggetti interagenti dei buoni incentivi per cooperare volontariamente sul mercato, costoro, nel corso del tempo, scopriranno e attueranno dei modi sempre più efficaci per relazionarsi in maniera sinergica, sviluppando le logiche collaborative ed i mutui vantaggi che ne scaturiscono.
Quanto si va dicendo lo vediamo realizzato pressoché ovunque nel mondo dell'informatica e dell'  hi-tech: ambiti in cui la convenienza, la potenza di calcolo e la capacità dei dispositivi aumentano costantemente, ad un tasso di innovazione molto più elevato rispetto a qualsiasi altro fenomeno registrato negli anni precedenti.
Al contrario, quando lo Stato ricorre alla coercizione, incentiva sia gli acquirenti che i venditori ad agire contrariamente a quello che, in un libera economia, corrisponderebbe al loro interesse personale. Nel corso del tempo, coloro che si sarebbero altrimenti prodigati per soddisfare le esigenze dei propri partner commerciali, pensano a reagire alle misure coercitive  poste in atto dallo Stato, formulando più alternative possibili per tentare di eludere gli oneri imposti. In una tale situazione, va da sé, la cooperazione sociale si contrae.
La tassazione (inclusi il ricorso all'indebitamento, che costituisce nientedimeno che tassazione differita), i sussidi, e  i mandati costituiscono  – tutti assieme- un esempio lampante di come la coercizione stia progressivamente prendendo il sopravvento, minando la collaborazione sociale.  Per esempio, quando lo Stato aumenta le tasse sui redditi guadagnati dai soggetti che hanno realizzato transazioni commerciali mutualmente vantaggiose, coloro che forniscono quei vantaggi guadagneranno costantemente in minor misura, nel corso del tempo. In tutta risposta, gli agenti oppressi dalle nuove tasse saranno incoraggiati a fare sempre meno per soddisfare le esigenze altrui, prodigandosi maggiormente per eludere l'imposizione.
Inoltre, quando il governo demanda ai datori di lavoro la responsabilità di erogare benefici "gratuiti", pagando direttamente per essi, i datori limiteranno di conseguenza altre forme di remunerazione, che molti lavoratori avrebbero invece apprezzato assai più rispetto agli stessi benefici imposti dall'alto. O ancora, i datori di lavoro si troveranno semplicemente ad assumere meno lavoratori. Questo fenomeno possiamo già riscontrarlo con il varo delle misure previste dall'Obamacare, le quali hanno sicuramente innalzato il costo del lavoro per i datori. Di conseguenza, questi ultimi hanno reagito tagliando posti e ore di lavoro (i mandati non si applicano per i lavoratori che sono impiegati per meno di trenta ore settimanali), o comprimendo altre voci correlate alla paga dei dipendenti, compresa la formazione "on- the-job", che costituisce un meccanismo fondamentale attraverso il quale i lavoratori possono apprendere un mestiere che li conduca al successo.
Prezzi calmierati, quali il blocco dei fitti, e  prezzi imposti, come il salario minimo, illustrano per giunta la crescente erosione, operata dalla coercizione, a danno della cooperazione sociale. In risposta a tali provvedimenti, le persone sempre più spesso trovano il sistema per non agire in contrasto con il proprio interesse personale, il che comporta un minor grado di interazione cooperativa con gli altri. Come ebbe modo di osservare Friedrich Hayek, <<qualsiasi tentativo di controllare i prezzi o le quantità di beni particolari priva la concorrenza della sua prerogativa di realizzare un efficace coordinamento degli sforzi individuali>>.
Quando il governo impone dei canoni di affitto artificialmente bassi, si riducono gli incentivi dei proprietari nel continuare a mettere a disposizione immobili da affittare. Col trascorrere del tempo, vengono costruite meno unità abitative (fenomeno che si è invariabilmente verificato in costanza di ogni provvedimento di blocco dei fitti) ed i proprietari escogitano degli utilizzi alternativi per abbandonare il mercato degli alloggi in affitto. Ciò si concretizza attraverso una serie di meccanismi, tra i quali possiamo annoverare le cosiddette "conversioni condominiali", con le quali si provvede a rimuovere l'unità abitativa dallo stock  degli immobili disponibili, ai fini di eludere le restrizioni imposte per l'affitto,  senza però sfrondarla dai finanziamenti ipotecari. I proprietari potrebbero anche reagire al provvedimento autoritativo riducendo la manutenzione e la conservazione di quelle unità, per le quali il prezzo imposto genera un ritorno economico del tutto improduttivo. Il risultato finale si traduce in un minor grado di cooperazione sociale e nel deterioramento, a lungo termine, del patrimonio edilizio esistente.
Ancora, quando il governo impone un prezzo artificialmente alto per l'impiego di lavoratori scarsamente qualificati, come avviene in presenza di salario minimo, esso riduce gli incentivi dei datori di lavoro per assumere tale tipologia di lavoratori nei processi produttivi. Nel corso del tempo, i datori di lavoro escogitano delle soluzioni alternative per risparmiare sull'impiego di fattori resi artificialmente scarsi, riducendo l'occupazione attraverso la modifica dei processi produttivi e degli stessi prodotti, sostituendo il capitale al lavoro, contraendo la produzione, delocalizzando gli insediamenti produttivi, ed in genere facendo sempre meno ricorso ai lavoratori meno qualificati. Per esempio, la risposta  dell'industria della ristorazione all'imposizione del salario minimo è consistita nella conversione della formula tradizionale in attività a buffet, le quali sicuramente richiedono l'impiego di un minor numero di lavoratori, ampliando la gamma dei menu che prevedono cibi cotti lentamente (essenzialmente sostituendo le pentole adatte ai lavoratori) e i dispensatori di bibite self-service.  Parimenti, quanto più alto è il prezzo di un lavoratore rispetto a quello di un computer, tanto più i datori di lavoro tenderanno a sostituire le macchine alle risorse umane.
Inoltre, la costante prospettiva di cambiamenti infiniti e arbitrari - impattanti le dinamiche di tassazione e regolamentazione, oltre che quelle di altre forme di coercizione -  acuisce oltremodo i rischi insiti nella scoperta di nuove ed innovative strategie cooperative, suscettibili di generare opportunità di "guadagno"  [e di creare valore per gli individui interagenti, ndt].
E poiché la coercizione, nel tempo, moltiplica gli sforzi orientati  ad evaderla, sempre più risorse vengono drenate per assicurare e rafforzare la sua tenuta, sottraendole dagli impieghi produttivi,  in violazione dei principi di equità (proprio perché il processo di rafforzamento  è di per sé selettivo e discriminante):  inutile dire che tutto ciò può essere giustificato solo in costanza di accordi volontari.
Dato che vi sono ben pochi ambiti in cui si riscontri la necessità della coercizione per promuovere la cooperazione sociale, vi sono ben poche aree in cui lo Stato  sia in grado di favorirla. Al contrario, l'ipertrofica espansione dello Stato al di là di tali confini ha minato le dinamiche cooperative ed infranto la giustizia.  E nonostante ciò, da tanti parti si auspica un ancor più accentuato livello di intrusione per risolvere i problemi. Ecco perché l'intuizione di Ludwig von Mises , secondo cui <<coloro che richiedono con sempre maggior insistenza l'interferenza dello Stato si stanno prodigando, in ultima analisi,  per più costrizione e meno libertà>> è di fondamentale importanza ed è oltremodo inquietante tutt'oggi. Qualsiasi espansione del perimetro operativo dello Stato riduce la libertà e limita lo sviluppo della cooperazione sociale, che sarebbe altrimenti emersa, con effetti che precipitano progressivamente nel tempo.
Articolo di Gary Galles su Mises.org
Traduzione di Cristian Merlo
Original Page: http://vonmises.it/2014/02/12/come-lo-stato-distrugge-la-cooperazione-sociale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=come-lo-stato-distrugge-la-cooperazione-sociale&utm_reader=feedly

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