Il ritorno del film muto? I video social nell’era dell’audio “off”

di Fabrizio Ulisse






Da quando Facebook ha iniziato a valorizzare i video con convinzione, capita molto frequentemente di vederne scorrere nelle nostre timeline (siamo ad una reach organica media dell’8.7%), e considerando che la soluzione scelta per aumentare le visualizzazioni senza essere eccessivamente invadenti è l’autoplay dei video con audio off, il risultato è che molto spesso ci troviamo a vedere video senza audio. L’audio si può attivare toccando il video sui dispositivi touch, o facendo clic sull’apposita icona del player da PC, ma in ufficio, o in movimento con i nostri smartphone (un paradigma d’uso sempre più diffuso), è raro che questo accada. Inoltre, poichè il video parte automaticamente quando lo raggiungiamo nella nostra timeline, ciò che captiamo nei primi secondi è molto importante per decidere se può interessarci oppure no.

È questa la ragione per cui — soprattutto in ambito news — sta prendendo piede un nuovo approccio allo storytelling basato su un ampio uso di parole, in una modalità già esplorata dai primi esperimenti di Kinetic Typography. Uno degli esempi più interessanti in questo senso è il lavoro di AJ+, prodotto di Al Jazeera orientato al pubblico più giovane, distribuito in modalità differenti su Youtube e su Facebook.



AJ+ sfrutta testi molto vivi, dove la formattazione viene utilizzata fin dai primissimi secondi come voce narrativa, non soltanto didascalica o meta-informativa (sottopancia, titoli). E in mancanza di suono, oltre che di parola parlata, i producer sfruttano le potenzialità cinetiche del testo anche in funzione drammatica.



Un altro esempio particolarmente ben riuscito di format nativi per Facebook sono i video di PopSugar, magazine leggero che fa dei video ad alto contenuto testuale e grafico un punto di forza.



Pensandoci bene, è uno scenario non molto diverso da quello dell’era delcinema muto, quando si utilizzavano i cartelli grafici (tecnicamente chiamati intertitoli) per sostituire i dialoghi. Nelle sale cinematografiche popolari in cui era assolutamente normale parlare e schiamazzare, l’impatto del trucco e degli atteggiamenti fortemente iconici degli attori, e dei cartelli grafici molto elaborati, doveva essere piuttosto forte: i contrari alla svolta del cinema sonoro addirittura sostenevano che l’eccesso di realismo avrebbe snaturato la forza visiva dei film (Charlie Chaplin, fra gli altri).

“Laugh, Clown Laugh” è un classico del cinema muto scritto da Joseph Farnham, sceneggiatore, unico nella storia degli Academy Award a ricevere un premio proprio per gli intertitoli.



E i brand? Nonostante la presenza delle aziende su social network e social media sia ormai consolidata, di video se ne vedono ancora pochi, e quei pochi sono generalmente singoli spot e non format strutturati e ricorrenti. Ma c’è un esempio particolarmente grazioso: Sheep & Stitch, un sito di e-commerce dedicato al lavoro a maglia (o knitting), molto attento all’apprendimento come leva di coinvolgimento degli utenti. Il canale Youtube è ricchissimo di contenuti già pronti per l’audio off (ed è un peccato che questi curatissimi video non vengano valorizzati anche sulla pagina Facebook, che inspiegabilmente include un’app Youtube), e sono un ottimo esempio di uso dei video in ambito marketing.



Nessun voice-over, musica gradevolissima ma non essenziale, ampio uso di parole chiare e ben impaginate, un esempio ideale di uso dei video con audio off. Val la pena seguire da vicino l’evoluzione di questa tendenza, soprattutto in virtù della crescente attenzione di Facebook nei confronti dei video.

(l’immagine nella testata è tratta da Shhhh! An improvised silent movie).

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