Aborto


Il tema è controverso anche all’interno del mondo libertario, sebbene la tesi dell’ammissibilità sia maggioritaria. Le difficoltà sorgono dal fatto che, in questa materia, è implicata la soppressione di una vita (o, nelle prime settimane, di una vita futura secondo una successione di tappe biologiche certe), e dunque non si può ricorrere sic et simpliciter all’argomento della libertà nelle personali preferenze etiche o religiose.
I libertari contrari alla libertà di aborto difendono la propria posizione sulla base dell’assioma di non-aggressione: l’aborto viola i diritti dell’entità, essere umano in formazione, contenuta nel ventre materno. Tale posizione è sostenuta, ad esempio, dall’organizzazione americana “Libertarians for Life” (D. Gordon, D.N. Irving) e da paleolibertari come Edward Feser, Andrew Napolitano e Ron Paul. L’argomento principale è basato sulla continuità del processo di sviluppo: dall’embrione al feto l’evoluzione biologica è un processo senza discontinuità, non c’è un istante definito in cui si può dire che esso sia diventato persona, non è possibile tracciare un netto confine tra materia organica e vita umana. «Se era già essere umano un minuto prima della nascita, allora lo era anche due minuti prima e così via all’indietro, fino ad arrivare al concepimento, dato che da quel momento il suo sviluppo è sempre stato graduale e ininterrotto. Ogni altra datazione (due settimane, tre mesi, sei mesi) mi pare totalmente arbitraria».
I libertari favorevoli alla libertà di scelta fanno prevalere il principio di autoproprietà del corpo della donna.
L’argomentazione pro-choice è sintetizzata così da M. Rothbard: «La discussione del problema è spesso incentrata su minuzie riguardanti la determinazione di quando ha inizio la vita, su quando e se il feto può essere considerato vivo etc. Tutto ciò è irrilevante per ciò che riguarda la legalità (non necessariamente la moralità) dell’aborto. L’antiabortista cattolico, per esempio, sostiene che il feto ha gli stessi diritti di qualsiasi essere umano - il diritto di non essere ucciso. Il punto cruciale, però, è che ci sono altri fattori in gioco. Se dobbiamo trattare il feto come detentore degli stessi diritti degli esseri umani, rispondiamo allora a questa domanda: Quale essere umano ha il diritto di rimanere, non invitato, come parassita indesiderato all’interno del corpo di un altro essere umano? Il punto è questo: il diritto assoluto di ogni persona, e quindi di ogni donna, alla proprietà del suo corpo. Quando una donna ricorre a un aborto, ella semplicemente espelle un ospite indesiderato dal suo corpo: se il feto muore, ciò non è in contraddizione con il fatto che nessun essere ha il diritto di vivere, indesiderato, come parassita, nel o sul corpo di un altro individuo.
Si controbatte spesso a ciò argomentando che la madre inizialmente ha desiderato la presenza del feto all’interno del proprio corpo, o che comunque ne è responsabile, ma anche questo è un discorso che non regge. Anche nel caso in cui la madre avesse inizialmente desiderato il bambino, ella, in quanto proprietaria del suo corpo, ha il diritto di cambiare idea e di espellere il feto da esso».
Alcuni autori abortisti negano che il materiale biologico delle prime settimane o il feto negli stati più avanzati della gravidanza possano essere considerati un individuo. Ayn Rand fondava la sua posizione convintamente abortista sulla distinzione fra soggetti esistenti, indipendenti, ed esseri potenziali: «un embrione non ha diritti. I diritti non pertengono a un essere potenziale ma solo a uno reale. […] L’entità vivente ha la precedenza su quella non-ancora-vivente (o non ancora nata)».
Anche Jan Narveson poggia la sua posizione pro-choice su valutazioni inerenti lo status morale del feto: in base alla sua impostazione contrattualista, ritiene che il feto non sia una persona perché manca delle caratteristiche che la definiscono, e cioè interazione psicologica, una volontà che possa essere coartata dagli altri, la capacità di stipulare accordi e la partecipazione a una comunità.
Una posizione intermedia, di compromesso, è quella di Walter Block, che sostiene l’evictionism, una teoria che assume il diritto di autoproprietà della donna e considera il feto un “invasore” del corpo della madre, ma anche un essere umano, assumendo quindi un orientamento pro-life. Questa teoria parte dalla constatazione dell’evoluzione tecnologica nel settore medico: in certe condizioni oggi è possibile – e in futuro ancora di più – l’ectogenesi, cioè la gravidanza in un utero artificiale. In tale situazione, la donna che non vuole proseguire la gravidanza può espellere (evict) il feto dalla sua proprietà, il corpo. Tuttavia lo deve fare nella maniera più rispettosa possibile (nella maniera che
provoca il minor danno possibile), lo deve espellere ma non uccidere; come farebbe un proprietario che si accorge che una persona sta occupando una sua proprietà, ad esempio il proprietario di un terreno nei confronti di un individuo che lo ha oltrepassato, magari inavvertitamente: non lo ucciderebbe immediatamente, ma all’inizio lo inviterebbe a uscire. In sintesi: se un feto può vivere al di fuori dell’utero, la madre non può ucciderlo. A tal fine, l’unico obbligo imposto alla donna è quello di notificare in forma pubblica la sua intenzione, in modo che una delle numerose organizzazioni specifiche – orfanotrofi, parrocchie, persone disposte all’adozione – ne siano informate.
Molti libertari, sia abortisti sia antiabortisti, ritengono che, dato il forte carico emotivo del tema, una disciplina differenziata (ad esempio, nel caso americano a livello dei singoli stati) anziché unica per un intero stato, politicamente rappresenterebbe una buona soluzione di mediazione.

P. Vernaglione, Il libertarismo applicato ai singoli temi - Aborto, in Rothbardiana,: http://rothbard.altervista.org/temi-lib/aborto.doc

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