L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono

L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono

Una meditazione sul Salmo 49,21

«L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono.»

(Sal 49,21)


Questo versetto è uno specchio implacabile: dice la verità sull'uomo che si sente sazio, protetto, garantito dal denaro, dal potere, dalla posizione sociale. È una denuncia, ma anche una compassione. L'uomo nella prosperità è cieco, non capisce, non si accorge di ciò che conta davvero, non perché sia cattivo, ma perché è assuefatto, sedotto, reso cieco dalla comodità. Vive nell'illusione che il bene coincida con l'agio, che la sicurezza economica sia salvezza, che basti costruire granai più grandi per potersi dire “a posto” per sempre.

Questa cecità non è solo psicologica: è spirituale. È l'effetto di un cuore che ha smesso di cercare. “Come gli animali che periscono”, dice il salmo: cioè, come chi vive senza coscienza del proprio destino eterno, senza sapienza, senza tensione verso l’alto.

Lo stesso tema ritorna nel libro della Sapienza, che ammonisce:

«I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni; perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente dai molti pensieri» (Sap 9,14-15).

L’anima immersa nella materia, legata al corpo, se non viene liberata dalla Grazia, se non riceve la luce dall’alto, è incapace di vedere le cose come sono. Crede di vivere, e invece perisce.

La manna e le cipolle d’Egitto

Nella liturgia dell’8 aprile, la lettura da Numeri 21 mostra il cuore d’Israele nel deserto, che si rivolta contro Dio e contro Mosè, dicendo:

«Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero».

È un grido che ci somiglia. L’anima, liberata dalla schiavitù, rimpiange le “cipolle d’Egitto”, si nausea della manna celeste. La grazia, la parola di Dio, il pane della verità... diventano insipidi a chi ha lo spirito intorpidito. È il paradosso del cuore umano: riceve il miracolo e lo rifiuta. Invece di rendere grazie, si lamenta.

Cristo stesso è la manna viva, il pane del cielo, ma l’uomo lo preferisce crocifisso piuttosto che accolto. L’evangelista Giovanni descrive la cecità che Gesù incontra:

«Questa è la luce: è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce» (Gv 3,19).

La profezia inconsapevole di Caifa

In Giovanni 11,50-51, il sommo sacerdote Caifa dice:

«È meglio che un solo uomo muoia per il popolo e non vada in rovina la nazione intera».

E l’evangelista aggiunge:

«Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione».

Qui accade qualcosa di misterioso. Un uomo agisce per calcolo politico, ma le sue parole portano dentro una verità che lo trascende. Parla per proteggere un sistema, ma Dio lo usa per annunciare la salvezza. È una profezia inconsapevole. È la rivelazione che Dio può scrivere dritto anche con le righe storte della storia.

Un caso simile è quello del mago Balaam, che doveva maledire Israele, e invece, sotto l’azione dello Spirito, lo benedice (Numeri 23–24). Anche qui: Dio può farsi parlare dalla bocca dell’asino, se vuole (Nm 22,28). L’uomo, anche quello ribelle o ostile, può diventare strumento di rivelazione. Ma non è merito suo. È un segno che tutto – anche l’ostilità – può essere piegato a proclamare la verità.

L’origine della cecità

Ma perché l’uomo nella prosperità “non comprende”? Perché la ricchezza genera miopia? Perché l’abbondanza anestetizza?

Perché, come dice Gesù ai farisei:

«Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo» (Gv 8,23).

C’è un’appartenenza radicale che impedisce la fede: l’essere “di quaggiù”. Chi è troppo radicato nel mondo, nei suoi schemi, nelle sue sicurezze, non riesce ad accogliere la luce di Dio. È troppo appesantito. È la stessa condizione del giovane ricco, che se ne va triste, perché non riesce a staccarsi dalle sue molte ricchezze (Mc 10,22).

Solo la povertà – del cuore, se non materiale – rende capaci di vedere. Per questo Gesù dice:

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).

E ancora:

«Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre» (Gv 12,35).

Cosa c’è oltre

L’uomo che non comprende “perisce”, dice il salmo. Ma l’uomo che si converte, che si spoglia dell’orgoglio, che lascia spazio alla luce, cosa scopre?

Scopre che la realtà è molto più profonda. Scopre che questo mondo è solo il vestibolo. Scopre che il tempo è solo un lampo, che lo spazio è un’icona del cielo, che il dolore ha un volto redentivo, e che la morte non è la fine, ma la soglia.

Il Figlio di Dio non è venuto per darci un’altra prosperità, ma per aprirci alla vita vera. E quella vita inizia ora, quando smettiamo di vivere da animali e torniamo ad avere sete di infinito.


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